Nel territorio di Gonnostramatza presenza anche in epoca Punica

martedì

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Le eccezionali scoperte avvenute negli ultimi decenni sulla presenza fenicia e punica in Italia hanno profondamente modificato, e continuano a modificare, le conoscenze relative a un settore di primaria importanza della storia antica.
I Fenici e i Cartaginesi, che prima apparivano come elementi marginali nelle vicende del nostro Paese, risultano ora impiantati in tutta la Sardegna e in parte della Sicilia con punte di presenza a Ischia e sul continente.Anche il piccolo centro di Gonnostramatza sembrerebbe un principale punto d'insediamento di questa civiltà.Recentemente grazie ad una prospezzione archeologica effettuata da un tecnico dei Beni Culturali sembrerebbe aver ritrovato dei dati certi sulla presenza punica nelle campagne del paese.
In una località ben precisa è stata effettuata una prospezzione archeologica che ha permesso di individuare un quantitativo costante di reperti anforacei che dall'analisi sulla ceramica hanno permesso di riscontrare anfore punico arcaiche,caratteristica principale l'orlatura molto rientrante verso l'interno, quasi a disco,l'immagine nella foto ne ritrae un esempio in alcuni frammenti.Molti studiosi definiscono questi reperti privi di orlo ,caratteristica fondamentale che ne permette una datazione che va dal II sec a.c al V sec a.c.Le anfore di  periodo punico spesso prive di un puntale ,contenevano spesso le derrate  "grano" ma alcune volte utilizzate anche per contenere liquidi, inoltre ottimi contenitori per le sepolture ad incenerazione.L'aria in cui è stata effetuata la prospezzione potrebbe rilevarsi anche un ottimo sito per una necropoli.

Ad aiutare la prospezzione e dare conferma è stato poi il rinvenimento in passato da parte di agricoltori, di una moneta punica con l'effige della dea Kore sul fronte e sul retro la rappresentazione di una protome taurina.Sul promontorio della piccola collinetta che si affaccia sul rio Mannu ,tanti conci di forma quadrata accerterebbero la presenza di costruzioni di ampio livello,inoltre nell'insediamento molti materiali attestano sia la presenza romano repubblicana sia quella romano imperiale.Il territorio però sembrerebbe essere ambitato anche in tempi più remoti, infatti anche ceramiche di fase nuragica sono state localizzate presso l'insediamento, nelle vicinanze due siti molto importanti ne hanno dato la conferma sia nell'area di Binge Monti, con le bellissime Tombe Nuragiche , sia nei pressi della piccola chiesetta campestre di San Paolo dove pare trovarsi un villaggio con presenza di ceramiche monte claro (2500-2000 aC).
Calderone ritrovato nei pressi della capanna nuragica Bagodinas
Uno dei siti archeologici più interessanti si trova a confine con il comune di Collinas il sito di Sa Costa Manna, sulla cima delle montagna che guarda verso le vallate di Gonnostramatza e Mogoro si affaccia uno stupendo Nuraghe Pentalobato, il sito è coperto in parte dalla vegetazione che nasce spontanea,il mastio principale e difficilmente individuabile, mentre le torri laterali sono in parte crollate.Il nuraghe è costruito con un pietrame locale , una pietra dura e trachitica di colore scuro.Durante la prospezzione sono apparsi però dei conci di colore bianco e scolpiti su una pietra morbida arenaria, molto probabilmente questi conci decoravano il ballatoio sulle 5 torri , permettendo cosi di osservare il gigante nero dai capelli bianchi,una struttura quindi molto particolare un unicum nel territorio.

Gonnostramatza - Nuraghe  de Sa Costa Manna




La prospezzione attorno alla struttura ha permesso di individuare la presenza della civiltà nuragica ,mentre mancano dati sulla vita post nuragica in loco.Sul versante destro del nuraghe tramite una torre in crollo è possibile accedere ad un corridoi che fiancheggia il mastio centrale ,ma lo stato delle strutture e la mancaza di attività di scavo non permettono di avere un analisi migliore del sito.Nel territorio di Gonnostramatza sono presenti altri insediamenti che accertano la presenza nel piccolo comune sin dai periodi della Preistoria  e documentano la presenza nelle varie fasi storiche , nuragica ,fenicio -punica, romana, mancano dati legati alla presenza in periodo alto medievale,che potrebbe essere fonte di indagine presso i vari archivi sia di stato che arcivescovili della sardegna.






                                                                                                                   Angelo Moi









Intervista a Remo Forresu studi della sardegna meridionale

domenica

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Intervista a Remo Forresu
Quarant’anni di ricerche archeologiche preistoriche nel territorio del Sulcis: intervista a Remo Forresu curatore del museo archeologico di Santadi

Le prime fonti archeologiche che riguardano il Sulcis ci riportano a A. Della Marmora e poi a seguire V. Angius, G. Spano. Nei primi anni del 1900 i maggiori contributi per la conoscenza di questo territorio si devono a G. Pinza e A. Taramelli. Ma una vera attenzione per le ricerche preistoriche e protostoriche del Sulcis si ebbe negli anni ’60.
In questi anni incominciarono le ricerche più sistematiche per la preistoria con maggiori contributi da parte di più studiosi. Negli anni compresi fra il 1960-1961 Francesco Rombi esplora, cataloga e studia le evidenze prenuragiche e nuragiche nel territorio di Sant’Antioco. Alcuni di questi dati verranno poi inseriti nell’opera di Giovanni Lilliu in ''La Civiltà dei Sardi''. Nel Giugno del 1968 venne scoperto presso la grotta Pirosu Su Benatzu nel territorio di Santadi, il prezioso deposito votivo nuragico. Le successive indagini scientifiche su questo territorio verranno portate avanti da Enrico Atzeni e dai suoi collaboratori. In questo studio furono rilevati: villaggi di cultura Ozieri a S.Arresi, Giba, Masainas e Barbusi. A Villaperuccio l’agglomerato di S’Arriorgiu e il vicino allineamento di menhir di Terrazzu.
Alla fine di questi anni le indagini archeologiche hanno rivolto l’attenzione ad altre evidenze significative con l’esplorazione del riparo Neolitico di su Carroppu-Carbonia, la necropoli a domus de janas di Montessu-Villaperuccio, Pani Loriga Santadi, Locci Santus-S.G. Suergiu e Monte Crobu-Carbonia e al nuraghe Arresi di Sant’Anna Arresi, già menzionato da A. Della Marmora come nuraghe Arriu.
Anche il territorio dell’Iglesiente ha restituito importanti e significative testimonianze riguardanti il periodo preistorico e protostorico. Diverse sono le segnalazioni già menzionate anche per questa zona dallo Spano, come pure ritrovamenti occasionali di contadini e pastori. Alcune esplorazioni del territorio, ricoperto in gran parte da rocce calcareo-dolomitiche intensamente carsificate, sono condotte da gruppi speleologici locali. Solo nel territorio del comune di Iglesias il 30% dei siti archeologici sono situati in cavità carsiche. Ma i primi scavi scientifici, oltre alle ricerche del Taramelli e Giovanni Lilliu nel nuraghe sa Domu de S’Orcu-Domusnovas si devono ad Enrico Atzeni, con lo scavo della necropoli pre-nuragica di San Benedetto-Iglesias.
Molte ricerche, scavi sistematici e interventi mirati al recupero di situazioni critiche, a causa di violazioni da parte di clandestini, si deve alla Soprintendenza Archeologica.
Ha intensamente lavorato nel territorio del Sulcis il Signor Remo Forresu, curatore del Museo Archeologico di Santadi.


Intervista

Signor Forresu lei attualmente è il curatore del Museo archeologico di Santadi, dopo tanti anni di ricerca sul campo in collaborazione con l’Università di Cagliari. Quando ha iniziato la sua attività.

<< Appassionato di antichità sin da ragazzo, quando mi scrissi all’Università di Cagliari ho avuto la fortuna di incontrare Prof. Enrico Atzeni, docente di Paletnologia, che seguirò in tutti i suoi scavi. Il primo approccio diretto con l’archeologia è stato tra il 1969 e ’70, quando Prof. Atzeni mi invitò a seguirlo nello scavo delle domus de janas di Pani Loriga. Nei successivi anni le ricerche si fecero più intense e vennero aggiunti importanti tasselli all’archeologia del territorio. Lo scavo più emozionante fu quello eseguito nel riparo sotto roccia di Su Carroppu, che restituì ceramiche cardiali, riferibili ad un Neolitico antico ancora oggi con una facies più arcaica di tutta la Sardegna. La conoscenza del mondo Neolitico proseguì con l’indagine nelle necropoli preistoriche a domus de janas di Locci-Santus a S. Giovanni Suergiu, la tomba monumentale di M.Crobu a Carbonia e lo straordinario complesso ipogeico di Montessu a Villaperuccio >>.

L’enorme quantità di campagne di scavo, non solo in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi a cui ha partecipato in collaborazione con l’Università di Cagliari, hanno portato alla conoscenza di un territorio così ricco di evidenze archeologiche. In questa sua esperienza ha sicuramente maturato e di conseguenza tracciato un quadro preciso di quelli che sono stati i passaggi fondamentali. Potrebbe fare un’analisi delle evidenze archeologiche del territorio.

<< Sino alla fine degli anni sessanta il mondo archeologico aveva rivolto le attenzioni esclusivamente alle emergenze della colonizzazione fenicia e successiva penetrazione cartaginese. L’antica Sulkì a S.Antioco e M.Sirai a Carbonia ne sono chiari esempi. La scoperta del tempio ipogeico nuragico nella grotta di Su Benatzu a Santadi, che ha restituito migliaia di vasi e monili in bronzo, suscitò un interesse tale che il Sulcis, allora poco conosciuto per le sue valenze archeologiche preistoriche, destò un interesse tale da indurre Enrico Atzeni e Giovanni Lilliu, allora docenti di Paletnologia e Antichità Sarde dell’Università di Cagliari, a condurre ricerche sistematiche e prospezioni anche sulla scorta di notizie e dati fornitegli da chi da sempre conosceva quei posti. Fu così che grotte e anfratti si rivelarono essere le prime abitazioni di gruppi primitivi che hanno occupato il territorio ben ottomila anni fa. E’ l’uomo neolitico che, in momenti in cui scopre la pietra nera vulcanica, l’ossidiana, modifica l’ambiente naturale del territorio del Sulcis Iglesiente. Scopre l’agricoltura e lentamente realizza i primi villaggi capannicoli all’aperto, lungo i bacini idrografici del Rio Mannu-Palmas e del Cixerri. Venera i propri defunti scavando mirabili tombe nella roccia viva. Con la scoperta dei metalli si intensificano contatti con presenze extrainsulari che produrranno radicali mutamenti socio-economici e strutturali, specie nel tessuto insediativo: nasce il megalitismo. Il controllo del territorio assume caratteri vitali in una economia che ormai si basa sull’allevamento del bestiame e sulla gestione delle valli e bacini fluviali. Tutto ciò porterà alla realizzazione di monumenti ciclopici, i nuraghi, sentinelle silenziose distribuiti in tutto il territorio, che ormai ha assunto il carattere di cantone nella gestione dei beni comunitari. Le tombe di giganti, quelle di Barrancu Mannu a Santadi e su Niu de Su Crobu a S.Antioco per citarne alcune, i pozzi sacri quello di Tattinu, sono l’espressione di un ormai acquisito spirito religioso legati alla morte e alla vita. Il crollo di questo vasto impero megalitico, nell’età del Ferro, consentirà la colonizzazione del territorio da parte di popolazioni medio orientali, i Fenici prima e i Cartaginesi poi, che dopo gli insediamenti costieri occuperanno anche l’interno con le fortezze di M.Sirai e Pani Loriga, quest’ultima nel cuore della valle del Rio Mannu di Santadi >>.

Qual' è lo scavo che maggiormente ricorda e perché.

<< Tutti gli scavi mi hanno dato tanto. Dal punto di vista emotivo, quello che maggiormente ricordo, è la scoperta della tomba monumentale n° X di Montessu, nel 1982. Essere stato il primo ad entrare dopo 3800 anni non si dimentica >>.

Fra le sue attività ha realizzato una mostra grafico-fotografica, ''Il Popolo dei Sardi'', per il Circolo Culturale di Cinisello Balsamo (Mi). Lo scopo di questa iniziativa.

<< Nel 1994 venni invitato dal circolo culturale di emigrati sardi ''Emilio Lussu'' a tenere una conferenza sulla Civiltà Nuragica che tra l’altro riscosse un vivo interesse. Dal momento che i Circoli Sardi, distribuiti soprattutto nel centro-nord Italia, annualmente propongono ''La Settimana Culturale Sarda'', un modo per far conoscere la Sardegna ai locali, con i soci del Circolo ebbi l’idea di realizzare una mostra grafico- fotografica corredata di testi e che fosse itinerante. L’intento era quello di prestarla ad ogni Circolo per i festeggiamenti della loro Settimana Culturale con l’impegno che sarei andato a presentarla ogni qualvolta fosse richiesta. E’ così che sono diventato un po’ itinerante anch’io. Un’altra mostra permanente l’ho realizzata con Prof. Enrico Atzeni per il comune di S.Anna Arresi “ La storia degli scavi del nuraghe Arresi” che scavammo negli anni settanta >>.

Fra il 1999-2000 ha allestito il Museo Archeologico di Santadi con la collaborazione scientifica di Prof. Enrico Atzeni, dopo un’esperienza maturata come curatore e allestitore sempre in collaborazione con Prof. Atzeni presso il Museo di Laconi. Ci parli di questa esperienza.

<< Allestire un museo non è cosa semplice. Alle spalle ci sono anni di esperienza maturati con scavi e ricerche, specie se si tratta di museo territoriale, come quello di Santadi. Devi avere un quadro conoscitivo non indifferente di tutte le realtà della cultura materiale e saperla leggere in ordine di tempo per la sua giusta collocazione. Un museo deve trasmettere, comunicare attraverso una facile lettura di quello che si espone. Se non si ottiene questo meglio lasciar perdere. E’ un lavoro immenso, insomma, dove a realizzarlo dovrebbe concorrere un’intera equipe >>.

Il suo impegno come Curatore del Museo Archeologico di Santadi

<< Fare il curatore di un museo archeologico lascia poco spazio alla ricerca e allo scavo, quello che mi è sempre piaciuto fare. Gli impegni sono un po’ diversi seppur gratificanti, come seguire gli studenti universitari da tirocinanti, laureandi e dottorati di ricerca; oppure coordinare scavi e iniziative culturali. Tutte attività dove il museo diventa veramente la centrale da dove attingere notizie e dati per una conoscenza più esaustiva del nostro passato >>.

Cos’è per lei l’Archeologia

<< Lo dicevo prima: se non si conosce il cammino dell’uomo e non lo si rispetta e protegge, che speranze abbiamo nel suo futuro >>.

Ringrazio il Signor Remo Forresu per aver raccontato la storia delle tappe principali della ricerca archeologica preistorica nel territorio del Sulcis, e per avermi fornito materiale fotografico inedito relativo ad alcuni momenti dello scavo scientifico.


La seguente intervista è stata redatta a cura della Dottoressa Archeologa Lucia Deidda.

Archeologia nel piccolo paese di Gonnostramatza (or)

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Nel territorio di Gonnostramatza, gli insediamenti umani, sono documentati fin dal periodo nuragico, anche se ormai limitate sono le tracce riscontrabili nel territorio (nuraghi Bruncu S’arbia, Cuccuru Bingias, Nuraxi Molas, Genna Maiu, Corruardu, Loc. Sa costa Manna, S’orcu, Chiccu Eccis, Pallariu Pala S’arrideli, Scalaxeddu, Cadrogu, Brunchiteddus, Loc. Seddargia, Bingia ‘e monti, Loc. Perda cruxi, Bruncu S’omini mortu, Loc. Cruccu di Gonnostramatza oltre alla presenza di alcune tombe megalitiche e un pozzo nuragico).
È certa la presenza delle civiltà del periodo romanico documentabile con numerosi ritrovamenti di oggetti, mentre allo stato attuale della ricerca, non figurano permanenze del periodo punico e non si hanno neppure notizie riguardanti l’alto medioevo. Intorno all’anno mille il territorio di Gonnostramatza faceva parte del Giudicato di Arborea ed anzi né era capoluogo della curatorìa.
Successivamente tutto il territorio di “Part’e Montis” cade sotto il dominio degli spagnoli prima e dei Piemontesi poi. Nel periodo di dominazione Piemontese, Gonnostramatza faceva parte nel marchesato di Quirra.
Caduto il regime feudale (1846), i territori dell’Alta Marmilla vennero suddivisi secondo le nuove unità Amministrative, comuni, mandamenti e province che corrispondono più o meno all’attuale suddivisione. Al posto del ponticello che sta all'interno dell'abitato vi era un ponte di epoca romana a 5 campate (è riportato sullo stemma del Comune), abbattuto nel 1928 per costruire gli argini sulle sponde del fiume. Il terzo è stato costruito negli anni ' 60 per consentire il collegamento delle strade provinciali di Cagliari e Oristano.

Vedi anche...

Ziro da capanna nuragica Ziro Scavi capanna nuragica Bagodinas Scavi capanna nuragica Bagodinas Reperti Bagodinas Interno di un pozzo nuragico Bocca di un pozzo nuragico Ciottolina Bagodinas

L'archeologo Giovanni Ugas risponde ad un intervista "blog Gianfranco Pintore"

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Il saggio del professor Giovanni Ugas (diviso nelle tre parti El Ahwat e gli Shardana nel Vicino Oriente, Qui stavano gli Shardana, Architettura e ceramica Shardana nel Vicino oriente) ha suscitato numerose domande in molti lettori. Le ho sintetizzate, spero correttamente, per porle a Giovanni Ugas che risponde in questa intervista.

1.Il suo saggio su Shardana e el Ahwat sta suscitando, come è ovvio che sia, molto interesse e reazioni che vanno dall'incredulità alla cauta accettazione, dall'incoraggiamento all'attesa del suo libro sugli Shardana. Si attendeva qualcosa di diverso?

Mi attendevo esattamente questo. Ho presentato lo studio El Ahwat e gli Shardana nel Vicino Oriente  in questo Blog non solo perché me lo ha chiesto Gianfranco Pintore ma anche con un preciso intento divulgativo data la scarsa accessibilità dell’articolo, pubblicato nel 2008 in un volume israeliano. Dunque non posso che essere grato ai lettori e mi scuso per il fatto che non mi è possibile rispondere  a ogni singola domanda e a ogni commento. Questo mio lavoro ha il fine, come del resto lo avrà quello più generale sugli Shardana, di fare il punto sulla situazione degli studi e sulle problematiche relative al primo e più importante  “popolo del mare.
Nell’ottica di una prospettiva di identificazione  tra gli Shardana e i Sardi non può essere certo trascurato, come sinora è avvenuto, il tema  delle relazioni archeologiche tra la Sardegna e il Vicino Oriente (e l’Egitto) durante l’età del Bronzo.  Si è solo all’inizio di una ricerca che, comunque, non è limitata ai soli dati presentati nell’articolo in forma abbreviata e per di più non documentati adeguatamente sul piano iconografico. Io ho cercato semplicemente di aprire, grazie anche all’Università di Haifa e in particolare ad Adam Zertal, la porta di un cammino difficoltoso che risente dello stato non ottimale della ricerca in questo campo poiché sino a un decennio fa nessuna missione archeologica sarda ha operato in contesti del Vicino Oriente. Il mio non è un punto d’arrivo ma di partenza  e tuttavia non posso esimermi dal trarre le prime conclusioni.

2.Comincerei dal riassumerle le posizioni di chi è decisamente contrario alla tesi che nel saggio ha sostenuto, sperando di essere fedele a quanto scrivono i suoi critici. Lei fa partire gli Shardana dalla Sardegna, mentre invece essi – si sostiene – sono arrivati qui intorno al XIII secolo. E dunque, mentre per lei gli Shardana erano sardi, per i suoi critici no, lo diventarono dopo il loro arrivo nell'Isola. Perché ha ragione lei e torto i critici?

Accennerò soltanto a qualche aspetto di questo argomento che è il più importante e il più complesso della vicenda degli Shardana. Quasi tutti gli studiosi (non solo sardi!) sono convinti che tra la Sardegna e gli Shardana esista una relazione, ma si dividono sul quando e sul come si è stabilito questo rapporto. Vi sono due orientamenti prevalenti:
a) Gli Shardana sono i Sardi costruttori dei nuraghi;
b) Gli Shardana hanno la loro patria altrove; i fautori di questa ipotesi a loro volta si disperdono in vari rivoli, individuando la loro terra ora in Illiria, ora in Tracia, Colchide, Asia Minore, Siria o Cipro, Grecia, centro Europa, e ritenendo che essi soltanto dopo aver combattuto contro Ramesse III, dunque non prima degli inizi del XII secolo, si siano rivolti in Occidente con altri popoli del mare (Sikali e Shekelesh, Tursha) e abbiano assegnato il loro nome alla Sardegna, all’Etruria e alla Sicilia.
Altri ancora sostengono che gruppi di Shardana abbiano raggiunto la Sardegna, già nel XIII secolo, portando con sé le grandi innovazioni culturali proprie del mondo miceneo.
Su queste questioni basilari ho avuto modo di esprimermi  fin dal 1980 in diversi articoli. Il primo è che gli Shardana non possono essere arrivati in Sardegna da un’altra terra  tra il XVI e il X secolo a.C. perché dal circa il 1600 a.C. la  società nuragica è solida e non registra cambiamenti strutturali, bensì solo alcuni significativi mutamenti culturali legati ai rapporti, ben documentati dall’archeologia, con le altre regioni del Mediterraneo. Tali rapporti non giustificano in alcun modo l’avvento, che dovrebbe essere rivelato anche dall’antropologia,  di una nuova etnia  in Sardegna. Per intenderci, Iliesi, Balari e Corsi, le principali popolazioni sarde che affrontarono Cartaginesi e Romani dell’età storica, si trovavano nell’isola  prima del 1600 e se seguiamo un passo di Pausania, fin dal Neolitico l’isola derivò il nome da Sardo guida dei Libi, poiché questi <<raggiunsero l’isola per primi via mare, abitando in capanne e caverne>>.
Stando alle attestazioni epigrafiche e alle fonti mitografiche e storiche, nessun popolo vanta un nome affine a quello degli Shardana tanto antico quanto quello dei Sardi della nostra isola. Cito ad esempio: il passo, già menzionato, di Pausania relativo alla antichissima denominazione dell’Isola dall’eroe eponimo Sardo;  il termine Shrdn dell’iscrizione di Nora datata alla fine del  sec. IX;  l’assedio dei Sardi a Creta difesa da Talos (XIII sec.);  il richiamo di Omero al riso sardonico in rapporto alle vicende di Ulisse (fine XIII-primi decenni sec.  XII).
Certamente non possono vantare una simile antichità i Lidi di Sardi dell’Asia Minore, città fondata non prima del sec. XII e  nota con tale nome solo a partire del VII secolo. Peraltro Sardi è una  città di cui si ignora la formazione precisa del nome e ciò vale anche per Sardessos e di altre città  anatoliche che richiamano il nome degli Shardana di cui non si conosce l’origine precisa. Alla stessa stregua non possono essere anteposti  i Sardeates dell’Illiria, noti solo in età romana, nè Serdica, l’antica Sofia in Bulgaria (Tracia), conosciuta soltanto in tempi tardo antichi.
Del tutto ignorati risultano gli Shardana nella letteratura greca e nei documenti ittiti in riferimento a popoli dell’età del Bronzo e del I Ferro della Grecia, Anatolia, Creta e Cipro. Per i Colchidi di Medea e di Eeta esiste solo il richiamo al lino sardonico in Erodoto (V secolo). D’altra parte gli Sherdanu o Sirtanni/Sirdanni conosciuti nel Vicino e medio Oriente sono stranieri e non popolazioni locali del Libano (Biblo) e della Siria (Ugarit).
Nessun altro popolo può vantare tante affinità con gli Shardana  quanto i Sardi dei nuraghi: abitavano un’isola al centro del mare, erano  avvezzi ai compiti di guardia e al combattimento, in particolare  erano formidabili spadaccini,   erano esperti nell’architettura  militare, calzavano elmi cornuti e vestivano gonnellini corti o a coda, erano di stirpe rossa. I Sardi, con le loro notevoli risorse proprie (derrate alimentari, argento ed altro) o acquisite (lingotti ox hide in rame), potevano mantenere consistenti forze militari.  Peraltro, la civiltà nuragica è al massimo del suo sviluppo quando i grandi regni  dell’Egeo, dell’Egitto e dell’Anatolia  decadono e vanno in crisi. Va aggiunto, in merito alla questione dell’identificazione con gli Shardana, che tra le tante ragioni, le motivazioni contrarie al riconoscimento con gli altri popoli sono ben più numerose e negative rispetto alle ragioni adducibili per negare l’identificazione con i Sardi dei nuraghi.
Tutto ciò si può sostenere  grazie soprattutto ai ritrovamenti degli scavi nuragici che documentano armi (spade, proiettili da fionda, cuspidi di frecce, lance) ma anche manufatti per la conservazione e l’uso degli alimenti; stoccaggio delle riserve per i periodi di crisi o di guerra, etc.) Né vanno trascurati: gli aspetti formali e le tecniche dell’architettura difensiva  dei nuraghi (ubicazione strategica, torri con feritoie, terrazzi su mensole,  rifasci, proiettili, riserve d’acqua, silos);  le analogie delle particolarità costruttive dei nuraghi (corridoi, porte) con le fortificazioni egee e anatoliche; le fonti letterarie che fanno riferimento sia  agli Iolei (Iliesi)  governati da re, vale a dire i capi tribali, sia al già citato assalto dei Sardi a Creta, sia alla flotta di Phorkys re della Sardegna che combatte contro Atlante.  Di sicuro non si addice alla civiltà nuragica un popolo dedito alla contemplazione spirituale nei templi  e che non conosce le armi.
Tutti questi elementi indiscutibili, non teorici ma reali, concorrono ad affermare senza incertezze  che i nuraghi erano residenze fortificate di capi e che quelli più articolati, dotati di cinta esterna, erano dei veri e propri palazzi con una guarnigione di soldati, non diversamente dai principotti egei e del Vicino Oriente.  Per certo i nuraghi non erano templi  perché se così fosse, tralasciando per brevità le altre ragioni,  negli strati archeologici del Bronzo medio e recente di questi edifici  (secc. XVI-metà XII) avremmo dovuto trovare le raffigurazioni delle divinità, anche aniconiche, e gli altari e le offerte rituali, ma non è così. Nei nuraghi, come a Su Mulinu di Villanovafranca, Nurdole di Orani etc.,  questi elementi di sacralità si trovano soltanto a partire dal IX secolo, dopo la caduta dei capi tribali,  il loro abbattimento almeno parziale e la costruzione delle case sopra o a ridosso delle muraglie, non prima. Sono dati di fatto, non ipotesi, e anche se qualche studioso tende a rialzare  la cronologia di tali materiali  del I Ferro sino al XII-XI  secolo (creando inconciliabili anacronismi con i coevi contesti dell’Etruria!), non cambierebbe la sostanza delle cose riguardo alla funzione  di residenza  “palaziale” svolta in precedenza, per svariati secoli, dai nuraghi. 
Per chi sostiene che i Sardi (con i Tursha-Tirreni) provengono dalla Lidia o dalla Grecia, dove sono i nuraghi in queste regioni, dove altre tracce dei Lidi?  Al contrario, le ceramiche sarde di Kommòs, che certo non erano oggetti di scambio, ma d’uso comune, indicano che i Sardi  frequentavano gli approdi di Creta nel  sec. XIII a.C., mentre il fatto che i lingotti in rame a pelle di bue con i marchi egei si trovano numerosissimi in Sardegna e scarsamente in Sicilia, nell’Italia Peninsulare e nelle altre regioni occidentali, vuol dire che erano i Sardi e non gli Achei e Cretesi che controllavano il mercato del rame in Occidente  e che comunque essi e non altri  tra i popoli occidentali erano in grado di accumulare, come le più grandi potenze mediterranee del tempo, quantità di rame sufficienti per armare un poderoso esercito.  E’ evidente che i Sardi erano ben addestrati alle lunghe rotte in alto mare, dunque erano ottimi marinai e per difendere il rame e gli altri beni trasportati sulle loro navi, dovevano essere attrezzati anche militarmente.  
I più antichi guerrieri a elmo cornuto furono gli Shardana. Nessun popolo dell’est del Mediterraneo  appare prima di loro (non vanno confuse  infatti le immagini della divinità con quelle dei guerrieri dell’Oriente, sistematicamente privi d’elmo cornuto). È  ben noto, peraltro, che in ambito sardo e corso le rappresentazioni  di teste zoomorfe, connesse con le maschere e i copricapi cornuti degli antenati risalgono già a tempi neolitici;  queste iconografie  ricompaiono puntualmente, in una ventata di antropomorfismo, nella bronzistica figurata nuragica del I Ferro e persistono ancora nelle maschere zoomorfe del carnevale sardo, specialmente barbaricino.


3.Altra obiezione è quella che riguarda, diciamo così, la natura shardano-nuragica di el Ahwat. È di due tipi: la grande differenza che esiste tra i nuraghi e le costruzioni nel villaggio israeliano, maestosi i primi modeste le seconde; il fatto che il materiale trovato intorno a el Ahwat, le ceramiche ad esempio, non è nuragico o è, al massimo, diffuso nell'area dell'Egeo. Come stanno le cose?

Ribadisco che a mio avviso, allo stato attuale delle conoscenze,  nel sito di El Ahwat si colgono influssi di  esperienze  costruttive occidentali, in particolare nelle  volte e nell’uso di massi poligonali  in edifici sopra suolo,  quali  i “tholoi” U461 E 462 fuori le mura. Ciò non basta a sostenere che siamo in presenza di opere  sicuramente nuragiche, cosa che io non ho mai dichiarato, ma neppure a negare i rapporti con l’architettura nuragica, corsa o anche sicula.  
Per questa ed altre ragioni, sono  portato a pensare che el Ahwat, residenza governativa strategicamente ubicata anche controllo della strettoia di Arunah, già teatro delle campagne di guerra di Tuthmosi III, piuttosto che Haroshet goyim,  la capitale dei possedimenti cananei  degli Shardana,  fosse un importante caposaldo militare controllato dagli egiziani in cui operavano anche gli stessi Shardana. Ad  Haroshet goyim, la città di Sisara, come da tempo hanno sostenuto diversi autorevoli storici, identificandola  con qualche centro del retroterra  tra Haifa e Akko, si addice infatti una collocazione diversa. Io ho pensato ad Afeq, tenendo conto degli eventi che portarono alla sconfitta di Saul sul Monte Gelboa, ma non esistono prove certe per nessuna ipotesi.  In ogni caso è probabile che, nell’ambito dei possedimenti Shardana in Cananea, Haroshet fosse ubicata in posizione più centrale, meglio difendibile e più adatta sul piano amministrativo. Il territorio, doveva essere proporzionato al ruolo  rivestito dagli Shardana nel Vicino Oriente e  dunque  più ampio, oltre che più fertile e strategicamente più importante rispetto a quello dei Filistei e dei Sikali, comprendendo  non solo la piana di Megiddo, la fascia del Giordano presso Bet Shean e la Galilea ma anche le zone costiere a Nord dei Sikali, da Habu Awam sino a Tiro e forse Sidone. Proprio la presenza sarda  tra i Cananei  può ben giustificare i successivi insediamenti  Fenici  in Occidente e segnatamente in Sardegna).     
Mi rendo perfettamente conto, l’ho rilevato, che la visibilità degli Shardana è un problema  archeologico molto serio, ma l’archeologia è una scienza giovane e ha tante potenzialità. Dunque non c’è da meravigliarsi se le ceramiche nuragiche denunciano poche e non decisive affinità formali con quelle delle aree  del vicino Oriente in cui  si pensa che si  fossero stanziati per conto dell’Egitto, o in proprio, gli Shardana. È  invece diversa la questione dei pugnali in bronzo rinvenuti a Tel es Saidiyeh  nella valle del Giordano. Sul piano tipologico queste armi si avvicinano agli esemplari  sardi non meno di quelli egei  e va considerato che i guerrieri di questo centro erano anche frombolieri, come i Sardi. Anzi, tenendo presente anche la grande spada di Bet Dagon, sono dell’avviso che il riconoscimento degli Shardana passa soprattutto attraverso i futuri ritrovamenti di armi nelle regioni vicino orientali, segnatamente in Galilea, valle di Yzreel e coste fenicie.


4.Una domanda, molto più specifica, riguarda dislocazione del punto nel quale i Popoli di mare si incontrarono per dare l'assalto all'Egitto e chi potesse disporre delle migliaia di armi necessarie.

È implicito che, se riuscirono a sconfiggere l’Egitto e gli Ittiti, i Popoli del mare erano in grado di procurarsi una notevole quantità di armi e di soldati, e dunque di  disporre delle materie prime necessarie al fabbisogno: uomini, rame e stagno, vestiario e pelletteria, etc. Riguardo ai luoghi in cui i Popoli del mare  si incontrarono per condurre l’attacco all’Egitto, questa è una questione che non può esaurirsi in poche battute poiché  è connessa con l’identificazione  e l’intera vicenda dei diversi popoli delle coalizioni che attaccarono l’Egitto e altre terre dell’Est Mediterraneo.



5.C'è anche chi dubita dell'accostamento che lei fa tra Keftiu e Creta. Che cosa risponde?

L’identità tra Keftiu, Kaptara e Creta  è oramai considerata certa pressoché da tutti gli storici e archeologi moderni. Le ragioni sono numerose e ben argomentate  e io condivido pienamente, sulla base dei documenti  già acquisiti, tale interpretazione, rispetto a chi  privilegia, ad esempio, il riconoscimento con la Cappadocia.


6.  Un altro chiarimento. Secondo la maggioranza degli studiosi, tra i Popoli del mare che affiancarono gli Shardana vi erano i Lukka che risiedevano nel sud-ovest dall'Anatolia, la futura Licia dei Greci, e non già i Liguri, come  lei prospetta, quale è la ragione di questa opinione?

Nella battaglia di Kadesh  del 1287 circa, i Lukka (Lici)  sono menzionati tra gli alleati degli Ittiti  mentre, diversamente,  gli Shardana combattono a favore del sovrano egiziano Ramesse II. In questa e in tutte le altre occasioni, gli Shardana non fanno alleanze  con i popoli anatolici, né allora né poi e non hanno nulla a  che fare con i Lici. Più tardi, le  genti  dell’Anatolia non potevano far parte della coalizione dei Popoli del mare che intorno al 1224 attaccò il sovrano egiziano Meremptah  poiché  erano ancora soggette  o alleate degli Ittiti  i quali avevano già da tempo stipulato con gli Egiziani un patto di  non belligeranza, se non di alleanza vera e propria, che continuò anche durante il  regno di Ramesse III. Più tardo la Licia al tempo di Ramesse III, come le altre regioni costiere meridionali dovette subire gli attacchi dei popoli del mare.
In  ogni caso, il nome Rk che compare a fianco degli Shardana, Tursha e  Shekelesh , da molti studiosi letto Luka (Lici), può ben essere interpretato ancor meglio come Leku  o Liku, cioè i Ligyes Latini, i Liguri.  Se è così come io penso, il quadro storico ha una sua coerenza, diversamente no. 



7. Lei propone una sorta di cesura nella storia degli Shardana,  ponendo a conclusione del regno di Ramesses II  la fine della  loro collaborazione con l’Egitto; ciò  non contrasta col fatto che  durante  il regno del grande faraone e probabilmente anche durante quello del padre Seti I, l’Egitto fu assalito dallo stesso Popolo del mare con navi da guerra ?

Vi sono diversi modi per leggere le dichiarazioni, spesso trionfalistiche, dei faraoni.  Ciò che conta, come sempre sono i fatti oggettivi.  Certo è che gli Shardana fin dall’inizio del regno di Ramesse II sono tenuti in grandissima considerazione e  formano, da soli,  la sua guardia reale. Lo stesso sovrano dichiara che gli Shardana che attaccarono il delta con la loro flotta erano “<<invincibili>>  e <<dal cuore risoluto>>, usando appellativi poco consoni per  il consueto vocabolario che definisce in modo sprezzante  i nemici.  Successivamente  gli Shardana risultano al fianco di Ramesse II non solo a Kadesh ma in tutte le altre azioni di guerra  da lui condotte. Per tutta  la durata del suo Regno l’Egitto non viene  mai attaccato né  dagli Shardana né da altri Popoli del mare. Il quadro delle relazioni muta palesemente quando a Ramesse II succedono altri faraoni, in particolare Meremptah e Ramesse III. Allora per oltre un cinquantennio, insieme ad altri popoli alleati, gli Shardana assediarono  l’Egitto, strappando infine ai sovrani del delta tutti i loro territori provinciali.



8.L'altra grossa questione è riassumibile così: come lei sa, il professor Gigi Sanna ha rilevato su cocci, massi e su una barchetta fittile segni di scrittura riconducibile anche all'area cananea dove si erano insediati, secondo la cartina pubblicata a corredo del suo saggio, gli Shardana che, lei dice, viaggiavano fra Caanan e la Sardegna. La domanda è diretta: possibile che gli Shardana-sardi non si siano impadroniti delle scritture usate nella regione?

Non esistono documenti  archeologici  sardi che presentino segni di scrittura attribuibili all’età del Bronzo ad esclusione  dei  marchi derivati da scritture lineari sillabiche riportati sui grandi lingotti di rame assegnabili al XVI- X sec. a.C, ma la cui produzione sarda è fortemente problematica. Mi spiace dire che non  conosco altri documenti che possano indiziare l’esistenza di un qualsiasi tipo di scrittura tra le comunità sarde di questo periodo. Ciò è pienamente coerente  con quanto si può dedurre sugli Shardana; essi, così come le popolazioni nord africane, non hanno mai rapporti epistolari con i re egiziani o con altri sovrani e, stando anche agli altri elementi,  non possedevano un loro sistema di scrittura.
Può sorprendere, che nonostante i chiari contati con le altre grandi civiltà dell’Egeo, durante l’età del Bronzo,  né in Sicilia né altrove in Occidente, attecchì la scrittura. La ragione è da  ricercarsi in primo luogo, nella  particolare situazione politico-amministrativa. In Sardegna in particolare, un’attenta distribuzione dei beni e delle risorse tra le numerose comunità (7000 nuraghi e 2500 villaggi) doveva  impedire il formarsi di grandi surplus  di ricchezze, facendo venir meno l’esigenza di archivi. Di sicuro i capi tribù non potevano autocelebrarsi  singolarmente in monumenti funerari, anche con testi scritti  poiché essi erano sepolti in tombe collettive, le “tombe di giganti”,  insieme a tutti coloro che appartenevano alla stessa gens , come richiedeva  il regime  politico a successione matrilineare evidenziato dal costume di uccidere i vecchi padri (a cominciare dai capi tribù). L’unica presenza di un segno esteriore di grandezza è la monumentalità della tomba e il segnacolo a forma di betilo. Infatti, i capi tribù  potevano essere formidabili  guerrieri, ma le loro case, i nuraghi, appartenevano alle loro mogli.
Diversa è invece la situazione per  il I Ferro. Negli scavi sono stati recuperati un buon numero di pesi da bilancia, lingotti in piombo, vasi e altri manufatti con segni di scrittura di origine alfabetica oltre che manufatti con  segni  geometrici connessi con un codice di rappresentazione numerale. Nel IX-VIII secolo, in una società aristocratica imperniata sul governo dei giudici e supportata da strutture santuariali che accumulavano notevoli ricchezze erano  sorte le condizioni per la comparsa di scribi-contabili. Non diversamente dalle altre regioni  la Sardegna dovette conoscere dunque la scrittura. Di questa questione mi sono occupato in alcuni convegni e in un lavoro che sta per andare in stampa.         



9.Un'ultima domanda, personale ma attinente questa questione: segni simili sono in reperti come un coccio trovato nel Negev e uno trovato a Pozzomaggiore. Gli israeliani hanno riconosciuto (con datazioni diverse fra il canaaneo e il protocaananeo) il reperto del Negev; qui perché non si prende in considerazione quello trovato in Sardegna?

Non ho proceduto ad un esame ottico del coccio con l’iscrizione di Pozzomaggiore e ho potuto osservare solo l’immagine riprodotta nel Blog. Poiché  non mi pare che il reperto sia edito (non conosco le condizioni del ritrovamento, dove  il reperto  è conservato e se, e a chi, è stato affidato lo studio), credo opportuno limitarmi soltanto a queste considerazioni: 
a)Il coccio è antico ed è autentico e lo è anche l’iscrizione.
b)L’età  del frammento fittile pare quella nuragica del I Ferro, ma non ho certezza;
c)L’iscrizione, graffita sulla parete interna del vaso, è sicuramente successiva alla sua rottura: si tratta di un’iscrizione su “ostrakon”;
d)Escludo che questo interessante  documento  derivi  da un sistema di scrittura protoalfabetica cananea o sinaitica.




Forse le mie risposte daranno qualche delusione,  ma occorre partire dal presupposto che le diversità di pensiero, al di là della formazione di ciascuno di noi, fanno parte della nostra umanità e poiché l’obiettivo da perseguire per tutti noi è la conoscenza, non serve a nessuno un’egoistica  gara di primato scientifico. L’archeologia è una scienza e per fortuna, per chi pratica questa bella  materia con amore, è anche un diletto;  tutti, dal più grande scienziato al cittadino che  segnala  alla Soprintendenza la presenza di un piccolo coccio, possono dare un contributo alla sua crescita. Serve però un poco di serenità.  Dico questo per coloro che tengono all’archeologia  e non  per gli individui che utilizzano qualsiasi occasione per offendere;  questi individui  pensano che il sapere degli altri serva non a esaltare lo spirito di conoscenza ma a mettere in luce le proprie debolezze.

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Dati certi sulle nostre origini....

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ugas_giovanni.gifCOME È CHE STUDIANDO LA CIVILTA' NURAGICA SI ARRIVA AI POPOLI DEL MARE E AGLI SHARDANA IN PARTICOLARE?


Non c'è differenza fra l'esame delle civiltà della Sardegna e quello che è lo sviluppo delle civiltà dei grandi popoli del Mediterraneo. La storia di questi popoli ha interferito con la storia della Sardegna. E non si può capire la storia della Sardegna senza occuparsi delle vicende culturali del Mediterraneo.


La Sardegna è un isola e il mare è un elemento di relazione e non di separazione. Il mare è una strada, è un elemento di raccordo con le altre aree. E non è detto che il mare sia più pericoloso della terra. Io non ho mai separato lo studio della cultura materiale dall'esame della civiltà, ho sempre cercato di avere una visione storicistica del dato archeologico: in questo sono vicino al mio maestro Giovanni Lilliu.
I fatti archeologici sono da inquadrare dentro gli eventi storici.
Se voglio capire chi erano i nuragici, ma è meglio parlare di sardi costruttori dei nuraghi, devo inquadrare la loro civiltà nel contesto del Mediterraneo. Devo sapere che cosa unisce i sardi dell'età del bronzo agli altri popoli e che cosa li divide.


STA DICENDO CHE LA VICENDA STORICA DEI SARDI NURAGICI E QUELLA DEI POPOLI DEL MARE NON POSSONO ESSERE STUDIATE SEPARATAMENTE.


Non c'è mai stata una separazione tra l'esame della civiltà nuragica e il tentativo di comprendere chi erano i Popoli del Mare. Io in questo sto pienamente nella tradizione. Proprio perché le questioni sul campo sono:


1) chi erano i nuragici e chi erano i Popoli del Mare;
2) quando hanno operato;
3) quale ruolo avevano i Popoli del Mare e in particolare gli Shardana;
4) da dove venivano e dove si espansero;
5) perché a un certo punto fecero la loro comparsa sulla scena del Mediterraneo.


Se noi valutiamo cosa era la civiltà nuragica e cosa erano i Popoli del Mare disgiuntamente non possiamo non fare accostamenti.


ALLORA ANDIAMO SUBITO AL DUNQUE: CHI ERANO I POPOLI DEL MARE, CHI ERANO GLI SHARDANA, DA DOVE VENIVANO E PERCHE' POSSIAMO IDENTIFICARE SHARDANA E NURAGICI?


Già in passato alcuni dicevano che ci fossero Popoli del Mare che provenivano dall'occidente, non solo ma anche. Per altri i Popoli del Mare provenivano solo da oriente, dai Balcani, dall'Anatolia: questa è stata ed è la posizione prevalente degli studiosi. Per capire se c'è una possibilità di identificazione fra Shardana e Sardi nuragici bisogna sapere chi sono gli Shardana e chi sono i Sardi nuragici.


Primo: bisogna capire se i due popoli hanno operato nello stesso tempo. E la mia risposta è: sì, hanno operato nello stesso tempo. Gli Shardana appaiono nella metà del XIV sec. nell'Egitto dei faraoni. Appaiono in bassorilievi e iscrizioni a partire da Akenaton, nel tempio di Amenofi IV e operano almeno fino al XII sec. Ma li ritroviamo anche in documenti dell'XI sec. Quindi la loro cultura si manifesta in Egitto per un lungo periodo di circa tre secoli. Questo periodo coincide con l'apogeo della civiltà dei Sardi nuragici.


Secondo: bisogna confrontare la descrizione che gli Egiziani davano degli Shardana con le descrizioni che noi abbiamo dei Sardi nuragici. Gli Egiziani dicono che gli Shardana usano diverse armi, mostrano di possedere un'avanzata tecnica di guerra e sono avvezzi alla battaglia. E l'equipaggiamento dei guerrieri Shardana è molto particolare e caratterizzante: usano spade lunghe, lance, pugnali e soprattutto lo scudo tondo. Usano un gonnellino corto, una corazza e un elmo provvisto di corna.


Se osserviamo i bronzetti e le armi dei Sardi nuragici troviamo una straordinaria corrispondenza fra le descrizioni degli egiziani da un lato e l'iconografia dei bronzetti e i ritrovamenti archeologici dall'altro. Da un punto di vista figurativo e persino somatico le rappresentazioni egizie richiamano i Sardi nuragici.
Un elemento molto importante è lo scudo tondo: nessun popolo in quel periodo (XIV-XI sec.) usava lo scudo tondo se si escludono gli Shardana. Dopo questo periodo l'uso dello scudo tondo si diffonderà fra i popoli del Mediterraneo. Lo scudo tondo è un elemento tipico dell'armatura dei guerrieri Sardi.


Terzo: dobbiamo chiederci da dove venivano questi Shardana.


Per gli Egiziani essi sono uno dei Popoli del Mare, ma più precisamente sono il popolo delle isole che stanno in mezzo al grande verde. Sottolineo il popolo delle isole che stanno in mezzo. È ragionevole pensare che per gli Egiziani le isole che stanno in mezzo al grande verde non fossero Creta o le isole dell'Egeo molto più vicine all'Egitto della Sardegna e con le quali avevano scambi frequenti e documentati. È ragionevole pensare che "Il grande verde" fosse per gli Egiziani il Mediterraneo occidentale.


Quarto: quali erano le due caratteristiche distintive degli Shardana per gli Egiziani.


Ebbene ai loro occhi sono abili navigatori e temibili guerrieri. Questo si deduce anche dal fatto che Ramsete II (XIII sec), si vanta di essere stato il primo ad aver fermato la flotta degli Shardana. Inoltre gli Shardana vengono usati dagli Egiziani come guardia personale del faraone. Come mercenari al servizio dell'Egitto costituivano un corpo scelto posto a difesa delle fortezze, oppure impiegato durante gli assedi.


9788889661000.jpg?1252087429Le numerose navicelle votive, i bronzetti e le armi ritrovate ci restituiscono dei Sardi esattamente l'immagine di un popolo di navigatori e di guerrieri.
Traendo le fila, gli Shardana:


provengono da un'isola;
si muovono con le navi;
sono un popolo guerriero.


Domanda: fuori dalla Sardegna quale è il popolo che dal punto di vista archeologico risponde alle caratteristiche che gli Egiziani attribuiscono agli Shardana?


Cioè con quale popolo conosciuto dalla storia e dalla archeologia possiamo confrontare la descrizione degli Shardana fatta dagli Egiziani? A mio parere, stando ai dati scientifici finora in nostro possesso, non ci sono dubbi: gli Shardana erano i Sardi Nuragici.


FACCIAMO UN PASSO INDIETRO, QUALI SONO LE FONTI? IN QUALI DOCUMENTI SI PARLA DI SHARDANA E DI POPOLI DEL MARE?


La fonte storica più importante sono i documenti egiziani. Iniziano nel XIV sec. e finiscono nell' XI sec. con menzioni di Shardana che vivono in Egitto come egiziani. Ci sono notizie di stanziamenti degli Shardana nel vicino oriente (XII sec.). La bibbia non ne fa menzione ma non menziona nemmeno gli Shekl (un altro popolo del mare) del quale invece gli Egiziani parlano. La bibbia cita solo i Filistei ma non si può dire che escluda l'esistenza di altri Popoli del Mare. Un'altra fonte della presenza dei Popoli del Mare nel Mediterraneo Orientale è Il Viaggio di Wenammon sacerdote-spia egiziano che fa un viaggio lungo le coste del vicino oriente e fa riferimento alla presenza degli Shekl. I testi egiziani sono molto importanti perché contemporanei agli avvenimenti descritti.


Fonti più recenti sono gli scritti di Simonide di Ceo trasmessi tramite Zenobio: parlano di assalti dei Sardi a Creta e rimandano allo stesso periodo degli avvenimenti che hanno interessato gli Shardana in Egitto.


LASCIANDO DA PARTE I SARDI NURAGICI, CI SONO RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI FUORI DALLA SARDEGNA, ATTRIBUIBILI AGLI SHARDANA, CON BUON ACCORDO DELLA COMUNITA SCIENTIFICA?


Se si esclude la Sardegna non abbiamo nessuna regione che ci porti verso quell'orizzonte. L'elmo di Cipro: Il ritrovamento di un elmo provvisto di corna a Cipro ha fatto pensare alla presenza Shardana nell'isola. Ma il reperto è del XII sec. cioè non delle prime fasi (XIV sec.) dei Popoli del Mare, ma della fase finale.
Dunque, con gli elementi che abbiamo, è piuttosto forzato pensare che Cipro sia la sede originaria degli Shardana.


Le stele del Vicino Oriente: Ci sono stele del Vicino Oriente, che ci fanno vedere divinità con elmi cornuti, datate al II millennio. Si potrebbe pensare che queste divinità siano in relazione con i guerrieri di quelle regioni che si vestivano in quel modo. Ma i guerrieri di quelle regioni non li vediamo mai con gli elmi cornuti e questo, deve essere molto ma molto chiaro. Questo è un argomento che ha un peso superiore al fatto che esistano rappresentazioni di divinità con elmi cornuti. E poi bisogna vedere il contesto perché le divinità non hanno gonnellino, corazza, scudo tondo ecc. Bisogna vedere il particolare insieme agli altri elementi.


E IL POZZO SACRO DI GIARLO IN BULGARIA? QUALE SPIEGAZIONE DARE?


La Mitova Zorova che ha studiato il pozzo di Giarlo si inserisce nella tradizione orientalista: secondo lei gli Shardana sarebbero arrivati in Sardegna dai Balcani, portando nell'isola i templi a pozzo. In realtà si dovrebbe fare il discorso inverso perché in Bulgaria quello di Giarlo è l'unico tempio a pozzo trovato, mentre in Sardegna i templi a pozzo non sono un'eccezione ma un sistema e sono pienamente inseriti nel quadro della civiltà megalitica nuragica.


C'è da dire che loro datano il tempio al XIV sec. ma io non sono assolutamente d'accordo con questa cronologia, non abbiamo materiale che ci conforti su questa cronologia alta, non abbiamo assolutamente elementi. Per me il discorso è inverso, i popoli occidentali sono arrivati diciamo sino a toccare le regioni dell'Egeo settentrionale.


E POI CI SONO ANCHE GLI SCAVI DI EL AWAT IN ISRAELE, CHE HANNO AVUTO UNA GRANDE ECO ANCHE SUI MEDIA...


Nel sito di El Awat si sta scavando una fortezza del XIII-XII sec a.C.. Il professor Alan Zertal, direttore degli scavi, ha visto un forte influsso dell'architettura nuragica nei resti della fortezza. È importantissima questa fortezza perché è datata tra il 1230 e il 1170, periodo cruciale in cui i Popoli del Mare operano gli attacchi più virulenti all'Egitto fino a portare al crollo dell'Impero Egiziano nel vicino oriente. Poi attaccano anche l'Impero Ittita. A El Awat ci sono le coperture a volta dentro le fortezze che fanno pensare a una presenza occidentale.


Ma bisogna distinguere fra una occupazione Shardana vera e propria e una presenza di soldati Shardana al soldo degli Egiziani. Secondo me in questo periodo la fortezza e ancora egiziana e sì, ci sono gli Shardana, ma non possiamo parlare di una loro presenza come popolo che occupa quel sito.


DA QUELLO CHE LEI DICE VIENE FUORI UN QUADRO NEL QUALE
I SARDI SONO GRANDI NAVIGATORI, PROTAGONISTI DELLA STORIA ANCHE NEL MEDITERRANEO ORIENTALE.
POTREBBE PRECISARE QUALI SONO LE PROVE SULLE QUALI FONDA QUESTA RICOSTRUZIONE?


Questa ricostruzione poggia sopra le fonti della letteratura antica e sui dati archeologici. Ci sono tutta una serie di segnali che fanno pensare a una presenza dei sardi nel Mediterraneo orientale e Giarlo e El Awat sono due importanti testimonianze.


Ma c'è molto altro ancora.
La ceramica nuragica del XIII sec. trovata a Creta e in Sicilia nell'Agrigentino, lungo la rotta che collegava l'oriente all'occidente del Mediterraneo e quella trovata a Tirinto. Insomma abbiamo tutta una serie di segnali che ci inducono a pensare che i Sardi venissero impiegati in tutto il Mediterraneo come guerrieri, non solo dagli Egiziani ma anche dai Greci e dai Micenei.


MAGARI QUESTE CERAMICHE FURONO PORTATE COSI' LONTANO
DA MERCANTI NON SARDI?


I mercanti di solito trasportano contenitori di derrate, recipienti per contenere il vino, l'olio, o qualcos'altro. Ma se i materiali trovati fanno parte della vita quotidiana o sono ceramiche da cucina allora il discorso cambia. In teoria certo resta in piedi l'ipotesi che i materiali Shardana trovati a Creta siano stati portati li dai mercanti cretesi, così come si è pensato che la ceramica micenea in Sardegna l'abbiano portata i Micenei. Ma tutte queste sono posizioni precostituite e poco critiche: insomma in quel periodo storico in giro per il Mediterraneo, così come ci sono Micenei e Cretesi, ci sono i Popoli del Mare.


E allora perché si ammette che ci fossero navigatori micenei, come è logico, e non si ammette che ci potessero essere anche navigatori Shardana? Escludere questo punto di vista non è ragionevole. La cosa più probabile è probabile che sia i Micenei che i Sardi viaggiassero. Per esempio il rame in lingotti, trovato in Sicilia, poteva ben viaggiare dalla Sardegna anche se alcuni studiosi mettono in dubbio la produzione sarda dei lingotti a quattro braccia per attribuirli a Cipro senza il minimo dubbio.. Ora è chiaro che ci sono questioni aperte ma pensare che tutto arrivi da est verso ovest e non il contrario è una forzatura.


C'È QUALCHE ALTRA PROVA?


C'è una considerazione di fondo da fare: i Sardi per forza di cose, se non sono impediti, devono e dovevano navigare per avere relazioni con altri popoli. E poiché la Sardegna pur essendo un' isola felice aveva bisogno di approvvigionarsi di certe materie, aveva anche bisogno di contattare altri popoli. Talvolta questi contatti erano voluti, ovvero partivano dalla Sardegna, altre volte erano gli altri popoli che venivano in Sardegna per cercare ciò che essi non avevano.


Ma già prima nel VI millennio a.C. la Sardegna era al centro del traffico della ossidiana che raggiungeva la Spagna, l'Emilia e il Midi francese. E perché mai questi traffici si sarebbero dovuti interrompere nelle epoche successive? proprio quando, l'evoluzione della tecnica di navigazione e delle conoscenze nautiche potevano dare impulso agli scambi via mare?. La Sardegna è un isola che vive della navigazione e la sua storia si sviluppa con la navigazione: questo è dimostrato dalla grande dinamicità culturale che mostra la Sardegna nelle diverse fasi, prenuragica e nuragica.


E i contatti non possono che passare attraverso il mare e non solo attraverso la Corsica che è l'isola più vicina ma anche dalla Sicilia, dalle Baleari e dall'Africa del nord. Purtroppo l'Africa del nord non viene considerata perchè ci mancano tante informazioni sulla preistoria dell'Africa mediterranea.


DUNQUE SECONDO LEI NON C'È DUBBIO ALCUNO CHE I SARDI VIAGGIASSERO VERSO ORIENTE?


Certo, basta pensare all'architettura nuragica che si evolve e matura attraverso continui rapporti culturali con il Mediterraneo orientale: conosce nuovi modi di utilizzare la pietra e nuove forme architettoniche. Che poi i Sardi abbiano innovato in architettura non c'è dubbio. I Sardi sono architetti formidabili hanno creato forme nuove e altamente innovative e poi queste loro esperienze sono tornate all'est ed è per questo che troviamo certe analogie come quelle di Giarlo e El Awat.


LUNGO QUALI ROTTE SI MUOVEVANO I SARDI?


Nel Mediterraneo esisteva una rotta settentrionale, che passava dalla Sicilia e dalla Puglia, e una meridionale che passava dall'Africa del nord, dall'Egitto e raggiungeva il Vicino Oriente. I contatti che la Sardegna mostra, per esempio tra la fine del terzo millennio e gli inizi del secondo millennio, con la Sicilia per quanto riguarda la cultura del vaso campaniforme, presuppongono percorsi non di piccolo cabotaggio tra la Sardegna e altre regioni.


E se si arrivava alla Sicilia di certo si poteva raggiungere l'Africa settentrionale che è più vicina. Non ci sono ragioni per dire che gli antichi Sardi non navigassero. I Sardi nuragici, gli Shardana, smettono di navigare con la conquista dei Cartaginesi: non con i fenici ma solo con Cartagine che privatizza e controlla interamente tutte le risorse dell'isola. Ma tuttavia le risorse sarde, anche se tramite i mercanti punici, continuavano a raggiungere le terre del Mediterraneo. Viaggiavano prodotti e uomini che combattevano nei vari eserciti del Mediterraneo.


LO STUDIO DELLA LINGUA, DEI TOPONIMI, NON CONDUCE AD ALCUN CHIARIMENTO?


Abbiamo alcuni dati linguistici che però sono recenti del V e del VI sec, riferibili alla denominazione di Sardi antica città della Lydia in Asia Minore. Il nome della città e l'appoggio di un passo di Erodoto, fecero pensare a molti che gli Shardana provenissero dalla Lydia. Ma il Gusmani ha dimostrato che il nome originario di Sardi era Shfart e Shfart è in relazione con Sparta e non con Sardegna: oggi questo legame linguistico, Sardi (città)-Shardana, non è più proponibile dal punto di vista scientifico.


Il nome shard o shardana c'è in Anatolia, nei Balcani o verso l'Africa settentrionale, ma non sappiamo quando si è formato quel nome, come non lo sappiamo per la città di Sardi. Erano i Greci che chiamavano Sardi quella città della Lydia. Anzi secondo me il nome di Sardi è probabilmente collegato ai Sardi della Sardegna, perché nei documenti Greci si parla sempre di riso sardonico e quando si parla di Sardi e di riso sardonico significa Sardi della Sardegna. Così era per i Greci. E su queste considerazioni ci si può spingere ancora oltre: l'episodio dei Sardi che assediano Creta è legato al riso sardonico e quindi alla Sardegna.


RIMANENDO SU TEMI LINGUISTICI COME SALTA FUORI IL NOME SHARDANA? QUALE È LA FONTE PIU ANTICA? E C'È IN SARDEGNA QUALCHE DOCUMENTO SCRITTO?


Le fonti più antiche sono i documenti egizi come ho già detto. Ma è molto importante anzi cruciale la famosa Stele di Nora: si tratta di un blocco di pietra sul quale è incisa una scritta in fenicio. La datazione accettata è dell' ottavo, nono secolo a.C., secondo altri la datazione è anche più tarda, si parla del decimo, undicesimo secolo.


Ma non abbiamo prove della presenza dei Fenici in Sardegna nel decimo o nell'undicesimo secolo. Nella stele è presente la parola SHRDN ed è presente come toponimo. Quindi abbiamo una testimonianza ben precisa del fatto che il toponimo SHRDN era presente in Sardegna già nel IX sec. E attenzione, il fatto che si tratti di una stele fenicia non dice che sono stati i fenici a chiamare così la Sardegna, anzi è più ragionevole pensare il contrario e cioè che quei navigatori fenici siano arrivati su un'isola che già nel IX secolo si chiamava SHRDN. Questo è un dato importantissimo, è un dato linguistico che riguarda la Sardegna in Sardegna.


LA STELE DI NORA: UN ELEMENTO CHE DA' FORZA ALLA TESI OCCIDENTALISTA...


L'orientamento prevalente è che i Popoli del Mare venissero dall'est e poi, raggiunto l'Egitto ecc., abbiano occupato le isole dell'occidente per cui la Sardegna, la Sicilia hanno questo nome da Shardana e Shekla e gli Etruschi da Twrsha. In effetti nel XIII e nel XII sec. quando la civiltà nuragica era nella sua massima esplosione non era possibile che dall'esterno arrivassero in Sardegna popoli che potessero sgretolare il sistema di fortificazioni e di occupazione del territorio della civiltà nuragica.


L'archeologia non ci dice nulla di conquiste o di massicce migrazioni di popoli dall'esterno. Certo ci dice di normali scambi e modificazioni culturali, ma non c'è traccia di sconvolgimento alcuno. Al contrario sappiamo che la Sardegna in quegli anni era nel suo massimo fulgore di architettura e di cultura materiale. E MENTRE LA SARDEGNA ERA NEL SUO MASSIMO FULGORE, I GRANDI IMPERI DEL MEDITERRANEO ERANO MESSI IN CRISI DAI POPOLI DEL MARE...


I documenti egiziani ci restituiscono un quadro molto complesso di quello che era il Mediterraneo in quel periodo. Abbiamo attacchi di popolazioni occidentali all'Egitto: i Lebush, i Meshwess e altre popolazioni dal Nord Africa attaccano i faraoni. Questo è un dato incontestabile: popolazioni occidentali si muovono verso l'Egitto e verso oriente. E perché potevano muoversi solo le popolazioni nordafricane? E attenzione questi popoli non vivevano vicino all'Egitto, ma molto più lontano: i Meshwess sono interpretati come i Maxwess di Erodoto che abitavano vicino al lago Tirtonio in Tunisia, cioè di fronte alla Sardegna.


E i Sardi? quantomeno, avrebbero potuto sbarcare in Tunisia e poi fare come i Meshwess, procedere a piedi verso l'Egitto. D'altronde la Tunisia è la terra ferma più vicina alla Sardegna. È chiara però una cosa che gli Egiziani non considerano mai i Lebush come uno dei Popoli del Mare. Però le fonti egizie registrano questi attacchi dei Lebush e poichè ci sono rapporti tra i Lebush, i Meshwess e gli Shardana ergo...
...perché escludere l'ipotesi più semplice, più normale, più ragionevole?


I SUOI ARGOMENTI CI SEMBRANO DIFFICILMENTE CONFUTABILI...


Io all'inizio quando vedevo queste analogie tra Sardi e Shardana avevo un grossissimo ostacolo perché non si capiva come e quando si fosse formata la civiltà nuragica. Il XIV secolo, per quello che si sapeva allora, mi sembrava troppo alto. Ma oggi non possiamo dire questo. Il XIV secolo vede già una civiltà nuragica matura e sviluppata e quindi capace di produrre un notevole incremento demografico in Sardegna e un conseguente movimento migratorio anche solo di soldati mercenari.


La presenza di soldati mercenari sardi in giro per il Mediterraneo preannuncia l'esigenza che i Sardi avevano di spostarsi dalla Sardegna. In Egitto ci arrivavano a varie riprese, in continuazione. Gli Shardana e le loro navi sono rappresenti dagli Egiziani così come i Sardi sono rappresentati dai bronzetti. I bronzetti sono dell'ottavo nono secolo ma sono una rappresentazione del mondo mitico, dell'età dell'oro. Per questo troviamo tutte le varie tipologie di guerrieri rappresentate assieme come per un effetto di schiacciamento della prospettiva temporale. Sono una documentazione dell'epopea dei sardi come il mondo eroico dei poemi omerici e gli oggetti dell'artigianato etrusco..

Archeologi in rivolta ecco i nostri dati

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Affascinato dalla lettura de “L’alba dei nuraghi” a c. del Prof. G. Ugas, docente di Preistoria e Protostoria presso l’Università di Cagliari, vorrei proporvene alcune pagine relative alla misteriosa quanto curiosa origine del termine “nuraghe”. Buona lettura.
Nell’ottocento e nei primi anni del novecento erano piuttosto accese le discussioni sul significato e sulla funzione dei nuraghi. Dopo gli scavi di Antonio Taramelli, le indagini di Giovanni Lilliu e le numerose ricerche topografiche non ci sono più dubbi sul loro ruolo di edifici fortificati. Per la loro eccezionale monumentalità essi si differenziano non solo dalle abitazioni del villaggio ma anche dai templi e dagli edifici sepolcrali. Più difficile è invece il cammino per risalire al significato e alla formazione del termine nuraghe.
Purtroppo, gli antichi scrittori romani e greci hanno trattato dei nuraghi solo indirettamente, nonostante la loro ampia diffusione in tutto il territorio sardo, quando fanno riferimento alla splendida architettura dei tholoi attribuiti all’arte di Dedalo. Così, mentre Q. Fabio Quintiliano, Cicerone (es.: De prov. cons. 15) e altri ci hanno restituito i nomi della mastruga (stessa radice di mastarna etrusco?), mantello di pelle dei re pastori (perciò Pelliti), e di musmon (Strabone V, 2, 7), il muflone o forse meglio un “piccolo equide”, nessuna glossa ha interessato la parola indicante il nuraghe, che non doveva essere certo ignota.
Le diverse forme lessicali che identificano il nuraghe, nurake, nuraghe, norake, nuracci, nurazzi, naracu, sono formate da un radicale nur-/nor- e da un suffisso -aki/-ake che appare molto simile al suffisso greco -akos e a quello latino -acis, facendo pensare ad una forma aggettivale(1). Come è già stato evidenziato, la diffusione di nomi con tale radicale nell’intero territorio della Sardegna toglie ogni dubbio sull’appartenenza del termine nuraghe al sostrato linguistico prefenicio e preromano. L’alternanza tra o ed u, proposta, oltre che dai termini indicanti il nuraghe, anche da Nora, Noragugume, Nuraddha, Nuratze, Nuraminis, Nurra, Nure, Nurritani induce a pensare all'esistenza di una radice nor-/nur- con un’oscillazione vocalica già antica(2).
La base nur-, di gran lunga prevalente in Sardegna e legata a un tipico timbro vocalico u, mediterraneo preindoeuropeo, è conservata nel toponimo Nurac Sessar di un’iscrizione d’età romana, nel nome Nure, un centro costiero romano della Nurra algherese (forse Sant’Imbenia, a giudicare dalle indicazioni dell’Itinerario di Antonino e dalle importanti emergenze nuragiche del sito) prossimo alle miniere di rame (Calabona) e d'argento (Argentiera) e in quello dei Nurritani, popolo romano della stessa Nurra, in Nure, antica denominazione della balearica Minorca attestato nell’Itinerarium maritimum; e ancora in Nure (Rio, Ponte, Bosco) toponimo del versante appenninico emiliano derivato da un insediamento che doveva trovarsi presso Bosco Nure, su un’antica via che collegava l’area padana alla costa ligure-toscana, attraverso verosimilmente la Lunigiana e il ponte della Corsica, alla Sardegna (su un’antica via dell’ossidiana e dell’argento verso nord e dell’ambra verso sud?).
È possibile, inoltre, il raccordo con Nursia (Norcia), centro sabino, e Nurzia, latinizzata in Nortia, la dea etrusca della fortuna (“Colei che gira”, se nur significa, come vedremo, “girare”), che aveva il suo culto principale a Volsinio (Livio, 7,3,7), da cui forse deriva il nome della citata città sabina. Da considerare anche una possibile relazione con Norchia, località etrusca presso Vetralla in provincia di Viterbo, se è l’esito di un adattamento latino a *Nurkia(3).
D’altra parte il nome di Norax, la guida degli Iberi che fonda Nora (Pausania, Sallustio), induce a ritenere che le forme in nor- nascano da adattamenti ai timbri vocalici indoeuropei di una originaria radice mediterranea nur-, oppure che, al contrario, fu il radicale nor- (protoiberico-indoeuropeo?) a trasformarsi in nur- per adattarsi ai timbri mediterranei. Infatti non mancano possibili paralleli caratterizzati da una base nor-, come Norba, città dei Volsci nel Lazio, che presuppone *Norua. Né è da escludere aprioristicamente una relazione con nomi di regioni geografiche più lontane, quali Noreia, capitale dei Taurisci nel Norico (da cui deriva il nome della regione e dei suoi abitanti) nella Stiria, tra il Danubio e le Alpi (Tolomeo 2,14; Polibio, 34,10; Strabone, 206), e Nora (abitanti: Norenses), un castello della Cappadocia ai piedi del Tauro (Plutarco, Eum. 10; Strabone, 537; Diodoro 18,41), ubicata nella regione dei Siri cappadoci, dai costumi affini a quelli dei popoli mediterranei (Erodoto).
Sul piano etimologico, l’avo dell’archeologia sarda Giovanni Spano nel XIX secolo riteneva che il termine nuraghe derivasse da una radice fenicia nur- significante “fuoco”. L’ipotesi però si scontra, come detto, con il fatto che questa radice è presente in nomi diffusi in tutta l'isola, anche in zone dove la cultura fenicio-punica non è penetrata, e inoltre non vi è nesso apparente sul piano del significato tra nuraghe e fuoco, poiché i focolari, intesi pure come nuclei familiari, non si trovavano soltanto nei nuraghi, ma anche nei villaggi. Ben più rispondente alla situazione linguistica sarda, alla forma e alla funzione del nuraghe, è la proposta di G. Lilliu, M. Pittau ed E. Contu i quali evidenziano il rapporto tra il termine nuraghe, la parola del nuorese nurra (significante “cavità”, “cumulo di pietre”) e il nome omonimo della zona nord-occidentale della Sardegna, ricca di nuraghi.
La radice nur-, da cui derivano sia nurra che nurac/nuraghe corrisponde sul piano semantico alla base tur- propria di Tyrsis/Turris, che in Grecia e a Roma significava “torre”. Ciò emerge da diversi elementi.
Innanzitutto, in Corsica l’esatto corrispondente del nuraghe è il vocabolo torre. Anche il corrispondente termine minorchino talajot è legato all’architettura, significando “(edificio) di pietre tagliate, o di grandi lastre”(4). In secondo luogo va considerato che in sardo i vocaboli turra (stessa formazione di nurra) e turudda sono connessi, come turris, alla radice tur- che significa girare, voltare(5). Questi termini lessicali turra e turudda (da *turulla, di formazione analoga a quella di trullo pugliese) sono riferiti al mestolo e, al di là del fatto che talora indicano anche qualche nuraghe, avevano il significato originario di “conca”, “volta”, “cupola”. Dal fatto che turra identifica il mestolo e non già la torre discende che in ambito sardo antico vi era un’altra parola, importante e irrinunciabile, per identificare la torre e non può essere che nurak(e). La radice nur- doveva coprire l'intero campo di significati della radice tur- e pertanto il termine nuraghe poteva ben significare anch’esso “volta, cupola”, “torre”, “edificio circolare” ed anche, considerata la sua forma aggettivale, “insieme di cupole, di torri” e dunque “castello”. Consegue anche che il vocabolo tholoi (plurale) impiegato dagli scrittori greci a proposito degli edifici sardi sia stato utilizzato proprio per tradurre il lessema nurak(e), un edificio caratterizzato da più ambienti coperti con la volta(6).
Va rilevato, ora, che la parola Nurra, che identifica la regione della Sardegna nord¬occidentale dirimpetto a Minorca, è molto simile a quella di Nura balearica, tanto che occorre chiedersi se da quest’ultima non derivi il nome del coronimo algherese, o viceversa. Certo è che non può essere una coincidenza che nella stessa zona si trovino sia la Nurra che la popolazione dei Balari, la stessa delle Baleari. La presenza di un capo dei Vettoni iberici di nome Balaro, l’origine verosimilmente franco-iberica dell’aspetto sardo del Campaniforme e dell’eroe Norax, nonché i tratti di parentela linguistica con l’area basca, favoriscono l’ipotesi che il toponimo Nurra e la parola nuraghe fossero d’origine iberica, o comunque si fossero diffusi con la venuta dei Balari in Sardegna. Meno probabile, a giudicare dalle fonti classiche, è l’inverso, cioè che i termini balearici e iberici legati alla base nur- fossero di derivazione sardo-libica.

1. Secondo il Bertoldi il suffisso –ake appare in aggettivi sardi di formazione verbale, di derivazione latina e bizantina, ma anche in toponimi prepunici e preromani che indicano antichi insediamenti ed i loro abitanti: arthiakena, cioè Arzachena, Plav-aki, cioè Ploaghe, *Lothorake, cioè Lotzorai, etc. (Cf. G. Bertoldi, Colonizzazioni nell’antico Mediterraneo…, Napoli 1950). Il suffisso –ake è considerato preellenico e preromano dal Wagner, e tuttavia come gli altri suffissi di formazione analoga –eke, –oke (variante –uke), si ritrova anche in latino, greco e altre lingue indoeuropee. (Cf. M. Wagner, La lingua sarda, Berna 1951).
2. La variante naracu, derivata da nor-, fa pensare ad una triplice oscillazione, considerata la presenza nel Mediterraneo di nomi con radicale nar-, come Naraggara (con base narag- affine a nurac-), antica località tunisina, e riscontrabile anche nei toponimi sulcitani di Naracauli, Narocci, Narcao. Tuttavia per questi ultimi vocaboli si può pensare anche ad una derivazione da una radice nar- ben attestata nel sardo, spesso associata a fiumi e diffusa in àmbito tirrenico. (Cf. G. Paulis, I nomi di luogo della Sardegna, Sassari 1987).
3. La toponomastica sarda documenta numerosi confronti per questi nomi delle regioni tirreniche (cf. Paulis 1987). In particolare si richiamano per Norchia: Norcale di Bitti, Norchirè di Lodè, Norchià di Desulo, Norcu di Narcao e di Gadoni, Norcui di Seulo e di Aritzo; per Nortia si menzionano: Norti di Orotelli e Nortiddi di Onanì, Nortza (nuraghe) di Gavoi, e forse Nolza (nuraghe) di Samugheo.
4. La lingua sarda ha un corrispondente nel toponimo Pedra(s) Doladas. La locuzione Pedra doladas o taladas (la t in posizione intervoacalica diventa sistematicamente d tenue, mentre la o nasce per dissimilazione), identifica due diverse tombe dei giganti in territorio di Scano Montiferro e Silanus; in quest’ultima si trovano i menhir antropomorfi, e forse a questi deve riferirsi l’espressione perdas doladas, cioè “pietre scolpite, lavorate”. Taladas è un termine improntato sulla radice tal-/tel- che significa “tagliare”, e anche “ridurre a lastre”.
5. La radice tur- è la stessa dei vocaboli greci tureia “forma di cacio, di pane” e Tyrinthos (Tirinto), di formazione analoga a quella del latino turunda “focaccia”, e di diversi termini sardi come tu(ru)ndu “rotondo”, turta “torta”, tortolìa e tartalìa “la treccia delle interiora” da *turtalia “ritorta”.
6. Già Massimo Pittau (1980, 1984) aveva ipotizzato il significato di “torre, castello” per il nuraghe, ma par¬tendo dal nome Nora di un castello della Cappadocia e dalla supposta parentela con una lingua anatolica da cui sarebbe derivato il sardo-tirrenico. (Vd. anche Paulis 1987, p. XVIII). Invero tra i nomi anatolici e quelli sardi è possibile sia intercorsa un’antica parentela mediterra¬nea neolitica e calcolitica ma pare più probabile una derivazione occidentale dei pochi nomi anatolici in nor-, legata ai movimenti dei popoli del mare (Sardi/Shardana, Tirreni/Tursha) alla fine del II millennio, che hanno interessato anche Atene (Muro pelasgico) e l’Egeo settentrionale e le coste dell’Anatolia (Lemno, Tracia e forse la Lidia). Non vanno trascurati al riguardo i passi di Erodoto (II, 105) sul lino sardonico usato dai Colchi che, come i loro vicini Siri Cappadoci, stando ancora a Erodoto (I, 9, 72, 76; II, 104), erano popoli di estrazione mediterranea, che lo storico però fa discendere dagli Egizi per via dei loro costumi, tra i quali la circoncisione praticata anche, come sembra, dagli stessi Shardana.

i giganti di MONTI PRAMA

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I Giganti di Monte Prama assieme alla testa di Narbolia[1], sono sculture sarde a tutto tondo i cui frammenti sono stati trovati casualmente nel marzo del 1974 presso un terreno agricolo del comune di Cabras, in provincia di Oristano.
Attualmente è in corso il loro restauro mediante l’assemblaggio di circa 5172 frammenti, tra i quali 15 teste, e 22 busti. A seconda delle ipotesi la datazione, oscilla dal VIII secolo a.C. al IX o addirittura al X secolo a.C., ipotesi che ne fanno comunque le più antiche statue a tutto tondo del bacino mediterraneo occidentale, ed antecedenti ai Kouroi greci. Dalle valutazioni più recenti si stima che i frammenti appartengano a circa 40 statue. Finora sono state individuate e restaurate 25 figure umane e 13 modelli di Nuraghe. Sono inoltre stati rinvenuti diversi betili del tipo cosiddetto Oragiana.

Indice

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Accenni sulla storia della statuaria antropomorfa sarda [modifica]


Guerriero. Bulzi.
La statuaria antropomorfa sarda è antichissima. Un primo esempio è dato dalla Venere di Macomer, in stile non finito (peculiarità distintiva rispetto all'area tessalica nel periodo Seskloe) risalente secondo il Giovanni Lilliu al 3750-3300 A.c. Mentre secondo Enrico Atzeni risalirebbe addirittura al Neolitico antico [2].
Successive ma sempre attinenti all'iconografia della dea madre sono i numerosi idoli in stile volumetrico, finemente decorati e ricchi di particolari. Uno degli esempi più significativi è l'idolo di Perfugas (loc. Sos Badulesos), nel quale è raffigurata la dea nell'aspetto di nutrice, infatti porta in grembo, stretto con entrambe le braccia, un bambino, messo di traverso al proprio corpo per succhiare il latte dalla mammella sinistra [3]. Questa simbologia sarà poi ripresa nella civiltà nuragica con le c.d pietà nuragiche [4]. Successivi sono gli idoli di stile planare o geometrico, sepre raffiguranti la dea madre[5].
Una diversa iconografia per temi e stilemi ci è offerta poi dalle Statue-menhir, o statue-stele, dotate di un essenziale resa frontale: personificate dagli schematici rilievi anatomici del volto a T – in unico blocco naso/sopracciglia, ma senz’occhi né bocca – e dai muliebri seni conici o a pastiglia; per la prima volta in esse è raffigurata un'arma a doppio pugnale simili agli esempi della cultura di Remedello, nonché dall’emblematico pittogramma pettorale del cosiddetto capovolto, raffigurato in forma a tridente e a candelabro, nella rappresentazione del mondo dell’aldilà, sulle pareti interne dei sepolcri a domus de janas[6].

Guerrieri. Viddalba, Ossi.
Probabilmente di epoca successiva sono poi le interessanti sculture rinvenute a Viddalba, Ossi (custoditi al Museo Sanna di Sassari) e Bulzi, e dei quali non si conosce ne datazione, ne provenienza esatta [7]. In particolare il reperto di Bulzi (esposto presso il museo di Perfugas) consiste in una testa antropomorfa calcarea con tipico schema a T del volto,che rispetto alle predette Statue-menhir recano due fori a rappresentare gli occhi. Questa scultura è inoltre sormontata da un elmo crestato a visiera frontale dotato di due incavi, nei quali furono inserite ad incastro le corna calcaree e delle quali residua un breve tratto. Se la cresta ricorda gli elmi dei bronzetti nuragici l'incavo in cui alloggiare delle corna è comune alle statue-menhir di Cauria e Filitosa in Corsica(datate tra il 1800 a.C. e il 1600 a.C.), attribuiti alla cosiddetta Civiltà Torreana, strettamente imparentata con quella Nuragica [8].
Tale tecnica comune, la resa frontale del volto tramite lo schema a T, nonché le somiglianze tra le spade (ed anche agli elmi e alle armature) scolpite a Filitosa e rinvenute nella tomba santuario di S.Iroxi hanno portato alcuni autori ad ipotizzare un collegamento tra la statuaria sardo-corsa e le raffigurazioni egiziane degli Shardana o Sherden [9]. Fra le possibili manifestazione di scultura nuragica vanno menzionati alcuni rinvenimenti nel sito de Su Nuraxi, aventi la foggia di piede umano. Tuttavia gli studiosi ipotizzano trattarsi di forma scarpe [10].

Luogo del ritrovamento e contesto storico [modifica]

Le statue furono rinvenute presso quella che poi si rivelerà una necropoli formata da 33 tombe a pozzetto irregolare e prive di corredo funerario eccetto che per uno scarabeo. La necropoli di Monte Prama si trova in un territorio che registra un'altissima densità di monumenti nuragici. Quasi ogni rilievo collinare ha sulla sua sommità un nuraghe, di dimensioni variabili. Il colle Monte Prama ne ha uno; immediatamente di fronte, spostato a Sud di poche centinaia di metri, si trova il Nuraghe Cann’e Vadosu dopo pochi altri centinaia di metri un altro e così via. Non di molto distante c’è poi un monumento imponente e gigantesco: il nuraghe S'Uraki di San Vero Milis, spostato a circa km 13 a Nord-Est rispetto alla necropoli. Di questi nuraghi non sappiamo però assolutamente niente non essendo stati ancora oggetto di studio.
La necropoli ha una forma allungata, un poco sinuosa, che si potrebbe definire a serpentina, e che, nel suo aspetto originario poteva ricordare allusivamente l’aspetto allungato delle Tombe dei Giganti, aiutata in ciò dalla presenza dei betili, molto di frequente elemento associato con tale tipo di sepoltura. Le tombe sono praticamente l’una attaccata all’altra e collocate entro alcuni recinti, i quali a loro volta suddividono il terreno in diverse aree sepolcrali, tra le quali quella nella quale furono rinvenuti i frammenti [11].

Elementi decorativi e raffronti stilistici generali [modifica]

L’altezza delle statue non è mai inferiore ai 2 metri e talvolta giunge ai 2,50 metri. Sono state scolpite su pietra di arenaria estratta da cave nei pressi di Oristano. Raffigurano pugili, arcieri e guerrieri, tutti in posizione eretta. E difficile trovare confronti in ambito mediterraneo per queste statue pertanto sui raffronti stilistici si affrontano varie posizioni in cui a divergere è l'accento posto di volta in volta sulla maggiore o minore autoctonia delle statue. Tronchetti parla di committenze e di una ideologia pienamente inserita nel mondo orientalizzate mediterraneo [12]. Bernardini individua nelle sculture esperienze dedaliche e influenze microasiatiche con richiami alle sculture etrusche arcaiche [13]. Ridgway trova confronti nella scultura Picena, Dauna, Lunigiana del VIII-V sec aC, e annesse alla corrente stilizzante italica ed egea naturalistica [14] . Per Lilliu le sculture appartengono al clima artistico "geometrico" riscontrabili nei segni ornamentali riprodotti con disegni incisi, ma la struttura colossale del corpo suggerisce il trapasso al periodo orientalizzate [15]. Per Lilliu le statue appartengono ad un climax artistico e politico indigeno "quasi urbano" [16]. Nel complesso sono statue fortemente stilizzate e geometriche improntate a quello che gli studiosi definiscono lo stile dedalico, che le rende un modello unico nel panorama mediterraneo e mondiale. Gli occhi incavati, sono resi con un doppio cerchio concentrico creato con un compasso o uno strumento analogo. Il volto delle statue segue lo schema a “T” tipico della scultura bronzistica sarda [17] . L’arcata sopracciliare e il naso sono quindi marcatamente definiti. La bocca infine, è resa con un breve tratto inciso, che può essere rettilineo o angolare [18]. Caratteristica delle statue è la resa stilistica dei dettagli decorativi in motivi a chevron e zig-zag finissimi, come per esempio i capelli resi a spina di pesce. Questa cifra stilistica, che nei bronzetti risulta facilmente ottenibile con la tenica a bulino, sono d'impossibile trasposizione statica nella pietra, da qui l'adozione dello stile decorativo con incisioni e disegni. Essi, insieme ad altri elementi concorrono a farci individuare nella piccola plastica bronzea l'elemento ispiratore della grande statuaria [19]. I piedi poggiano su basi sub-quadrate e sono ampi e larghi, con le dita bene definite; i torsi sono appiattiti, come due prospetti, frontale e posteriore, giustapposti senza la minima ricerca di plasticità [20]. Nei giganti sono stati rinvenute tracce di colori. Un arciere in particolare aveva il torso dipinto di rosso [21]. Altro colore rinvenuto nele statue è il nero. I colori non hanno soltanto una rilevanza estetica ma il materiale organico utilizzato per le pitture potrebbe agevolare la datazione delle statue attraverso il metodo del carbonio 14 [22] .

Gli arcieri [modifica]


Arciere di Abini
I frammenti di questa tipologia hanno permesso sinora di individuare con certezza 7 esemplari. Al contrario dei pugili gli arcieri non presentano una iconografia standard, ma numerose varianti [23] . L’iconografia maggiormente attestata vede l'arciere indossare una corta tunica, su cui pende la placca pettorale a lati leggermente concavi. Talvolta la tunica giunge all'inguine altre volte lascia scoperti i genitali. Sembra che il tipo di resa del petto fra i lacci della placca possa indicare che questi reggessero una sorta di goliera, peraltro visibile in alcuni bronzetti. La testa in miglior stato di conservazione mostra il tipico elmo cornuto. Sono stati rinvenuti diversi frammenti di piccoli elementi cilindrici, terminanti in piccole sfere riconducibili alle parti terminali delle corna degli elmi, come in alcuni bronzetti. I diversi frammenti di arti superiori presentano spesso il braccio sinistro munito di brassard che tiene l’arco mentre la mano destra è tesa in segno di offerta o saluto. Nei busti di alcune figure di arciere è visibile una corazza; un'altra presenta sulla schiena una fascia che termina con una frangia avente una decorazione ricamata; taluni hanno, sulla schiena, la faretra con la spada a fianco [24] . Infine un polpaccio è difeso con uno schiniere avente profilo a 8. Il bronzetto d'arciere più corrispondente a quello dgli arcieri di Monte Prama pare sia l'arciere di Abini [25]

I Pugili [modifica]


Pugile di Dorgali.
I pugilatori presentano caratteristiche uniformi e costanti in tutti e 15 gli esemplari accertati, variando solo nelle dimensioni [26]. Il torso è nudo ed i lombi cinti da un breve gonnellino svasato posteriormente a V visibile nella bronzistica dei pugili ma anche nell’arciere di Serri. Talora sul gonnellino si percepiscono ben conservati i lacci che lo tenevano legato, raffigurati con cordoncini a bassissimo rilievo, solcati. Il capo è rivestito da una calotta liscia i cui due lembi ricadono ai lati del collo, al di sotto della quale escono le lunghe trecce. Il braccio destro è rivestito da una guaina verosimilmente di cuoio, che parte dal gomito e termina ad avvolgere il pugno, sul taglio del quale è raffigurato un elemento romboidale sporgente. Il braccio sinistro tiene lo scudo a coprire il capo [27]. Lo scudo è di forma ellissoidale e doveva essere composto da cuoio o di un altro materiale flessibile. La figura del pugilatore è molto rappresentata anche nella bronzistica, tra le quali si segnala oltre agli esemplari sardi, anche il bronzetto rinvenuto presso Vetulonia nella Tomba del capo. Appare insoddisfacente ritenere che i pugili fossero un particolare reparto di guerrieri, vista la pochezza del loro armamento. Più plausibile è ritenere che fossero dei sacerdoti o degli officianti di particolari giochi legati al culto, che non si esclude possano essere anche di tipo funerario, cioè giochi in onore del defunto [28]. Il bronzetto nel quale si riscontro non solo l'identità tipologica ma persino la rispondenza nei più minuti particolari proviene da Dorgali[29]

I Guerrieri [modifica]

Di questa tipologia iconografica, molto rappresentata nella bronzistica, sono stati individuati 3 esemplari di cui non è stata ancora rivelata la tipologia. La loro presenza si deduce dal resto di una mano destra che stringe l'impugnatura d'una spada a base convessa con un breve tratto della lama oltre che dalla presenza di un frammento scudo con disegno di solcature disposte a raggiera e convergenti verso l'umbone così come rappresentato anche nei bronzetti[30]. Del resto le milizie nuragiche erano composte tanto da arcieri quanto da fanti o da guerrieri con armamento misto in quanto muniti sia di arco come di spada; questi casi sono evidenti sia nell'ipotesi in cui arco e spada vengono sfoggiati contemporaneamente come nei bronzetti stile Uta,o quando la spada rimane nel fodero accanto alla faretra mentre l'arciere scocca la freccia come nella statuina di Serri. L'insieme faretra fodero di spada è visibile in almeno una scultura [31]. L'insieme faretra fodero spada trova riscontro sia nei bronzi appartenenti allo stile Abini che in quelli appartenenti allo stile Uta [32]. Lilliu pone inoltre particolare risalto nel confronto tra l'elsa lunata della statua di Monte Prama e l'elsa a mezza luna dell'arciere di Santa Vittoria di Serri con il medesimo abito a coda di frac dei pugili di Monte Prama [33].

I modelli di nuraghe [modifica]


Altorilievo dal Nuraghe Canevadosu.
I modelli di nuraghe ritrovati con le statue a tutto tondo si possono dividere in due gruppi: otto modelli di nuraghi complessi e tredici di nuraghi singoli o monotorre [34]. La prima tipologia è raffigurata da una cortina esterna con otto torri unite da spalti, sormontate da un alto mastio centrale. Gli spalti sono rappresentati tramite l’incisione di tratti verticali. Il secondo gruppo (Nuraghi monotorre) è composto dalle parti terminali alte delle torri nuragiche. Queste variano ampiamente di dimensione: si passa da cm 13 sino a cm 70 di diametro [35]. Pur nel variare delle misure rimangono costanti alcuni elementi caratteristici. Anzitutto la resa del parapetto con una fila di triangoli incisi (che negli esemplari di maggiore dimensione può duplicarsi) ovvero con tratti verticali, questo stilema trova raffronti con modellini di nuraghi ritrovati in altri siti archeologici dell'Isola, tra i quali si segnala per importanza il moddellino con bassorilievo dal nuraghe Cann'e Vadosu, ed il modellino della sala delle riunioni di Su Nuraxi, Barumini [36]. Altro particolare con vari raffronti è l'elemento conico, presente nella parte piana superiore di un modellino di Monte Prama. Per tale elmento sono state fornite diverse interpretazioni. Quello di un finimento che ripete in piccolo la sagoma tronco conica sottostante [37]. L'ipotesi più condivisa ritiene invece che sia la parte terminale e strutturale dei Nuraghi, ovvero la copertura della scala di accesso al terrazzo superiore [38]. Ancora una volta tra gli altri, termine di paragone tra l'elemento conico dei modellini di Monte Prama è il modellino da Barumini [39]. I modelli di nuraghi celebrano in essi il centro di potere, religioso e politico dell'aristocrazia sarda. Questa conclusione, assieme allo spirito autocelebrativo dei Giganti è corroborata e sintetizzata nel modellino in arenaria proveniente dal Nuraghe Canevadosu distante poche centinaia di metri dal sito, il quale raffigura ad un tempo una figura umana con braccia tendenti verso l'alto come in segno di preghiera e un modellino di nuraghe composto da tre torri [40]

I Betili Oragiana [modifica]


Betile
I betili sardi sono la rappresentazione aniconica della divinità Nuragica. La loro presenza è dunque una costante in tutti i vari tipi di luogo di culto della civiltà Nuragica. Possono trovarsi presso le tombe dei giganti od in santuari più complessi come quello di Su Romanzesu presso Bitti. Possono essere suddivisi in generale in betili conici e troncoconici, questa distinzione ha rilevanza cronologica essendo i betili troncoconici più recenti e in generale annessi alle tombe dei giganti in opera isodoma[41]. Presso Monte Prama si rinvennero dei betili di tipo oraggiana od oragiana. Sono betili a tronco di cono con incavi praticati, da tre a cinque. Secondo l'archeologo Lilliu tali incavi vanno interpretati come occhi di una divinità protettrice e guardiana presso le tombe dei giganti [42]. Oltre a betili c.d. oragiana [43]. La presenza di questi betili ha stupito molto. Essi infatti sono oggetti simbolici tipici del bronzo medio e del bronzo recente nuragico (XIV-XI sec a.C.) .Tra i betili occhi delle tombe dei Giganti e i Giganti di Monte Prama passano almeno due secoli e ciò pone dei problemi. Lilliu propone due soluzioni alternative. Forse i betili provenivano da una precedente tomba dei giganti andata distrutta; l'ipotesi alternativa è che quelli rinvenuti con i frammenti delle statue siano le copie di analoghi più antichi, nella volontà di rimarcare la linea di continuità con la tradizione nuragica in una sorta di rievocazione nostalgica. [44].

Il problema della datazione [modifica]


Lo scarabeo Egizio di Monte Prama
L'indicazione di maggiore affidabilità sul periodo nel quale i Giganti furono scolpiti proviene dal contenuto delle tombe a pozzetto, sopra le quali, furono rinvenuti i frammenti delle statue; delle coppe carenate nuragiche, una fibula bronzea, e in particolare uno Scarabeo (egizio) dell'età del ferro, in un primo momento definito pseudo- hyksos[45]. Lo scarabeo raffigurante un fiore di loto stilizzato è confrontabile con un altro scarabeo proveniente da uno strato archeologico dell'VIII secolo presso Tiro[46]. La fibula bronzea rinvenuta tra i detriti delle statue sembra confermare anch'essa la prima metà dell'VIII secolo; grazie a reperti punici la formazione dell'insieme di detriti scultorei è datata al sec. IV a.C [47]. Pertanto lo scarabeo assieme ai resti di età punica individuano rispettivamente il terminus post quem ed ante quem della formazione della discarica e quindi il periodo nel quale la statue furono distrutte e gettate in frammmenti sopra le tombe. Si tratta però di una datazione provvisoria nell'attesa che si datino le coppe nuragiche, e magari si disponga un esame al c-14 per le ossa degli inumati entro le tombe. Occorre inoltre considerare come l'ordine delle 33 tombe vada letto in progressione temporale, formando una sorta di stratigrafia orizzontale [48]; la prima tomba è ritenuta la più antica, mentre la venticiquesima contenente lo scarabeo, è una delle ultime e dunque fra le più recenti. Un serio problema per la datazione delle statue è invece posto dalla presenza dai betili c.d. oragiana; quest'ultimi sono tipici del bronzo medio (XV-XIII sec. a.C.) [49]. Il problema è per adesso risolto supponendo che i betili siano stati distrutti e divelti dalla loro sede originaria per esser poi gettati alla rinfusa insieme ai frammenti delle statue[50]. Altro elemento rilevante nel problema della datazione è dato dal rapporto tra ibronzistica sarda e le statue. Su questo punto gli studioso appaiono divisi. Alcuni infatti stostengono che la bronzistica sia più antica della statuaria di Monte Prama [51]. Per altri invece la maggior varietà di particolari presenti per esempio nei pugili di Monte Prama rispetto ai pugili in bronzo depone a favore della maggior antichità delle statue, i giganti dunque sarebbero più antichi dei bronzetti, con l'ulteriore conseguenza che le statue non sarebbero pedisseque riproduzioni dei bronzetti [52]. Un importante riscontro a tale ipotesi proveniene dal bronzetto di pugile dal volto triangolare e dagli occhi cerchiati fissi come quelli dei Giganti, trovato in una tomba villanoviana di Vulci [53]. Purtroppo la gran parte dei bronzetti è stata rinvenuta fuori contesto archeologico, per cui non è possibile in generale attribuire loro una datazione univoca e scientifica. Alcuni propongono l'anno 1000 a.C. come data d'introduzione dei bronzetti [54]. Il pozzo sacro di Funtana Coberta presso Ballao è stato datato in una fase transitoria tra il bronzo medio e bronzo recente, nel 1350 a.C. [55]. In esso sono stati trovati reperti bronzei preservati da una frana o alluvione. In particolare spade votive, lingotti a pelle di bue [56] sono stati rinvenuti entro un'olla del bronzo recente nuragico. Tale tipo di vaso è stato rinvenuto insieme ad altra cercamica nuragica presso Kommos-Festos a Creta e datate tra la fine del XIV e la prima metà del XIII sec. a.C. [57]. Importantissimi anche i frammenti di bronzetti tra i quali spiccano una testa di arciere ed un piede con supporto [58]. In particolare il piede risulta identico a quello di numerosi altri bronzetti tra i quali:il capo tribù orante e l'arciere saettante da Abini-Teti [59] il Capo Tribù da Monte Arcosu Uta [60], i guerrieri con spada e con arco e con spada e scudo sempre da Uta[61], il soldato con stocco e scudo sulle spalle da Sorgono[62]. Il frammento di piede in rapporto alle ceramiche è datato nel bronzo finale [63]. Oltre che per la somiglianza tra il pozzo di Ballao e il pozzo sacro di Sofia questi dati devono esser considerati alla luce del fatto della quantità dei bronzetti proveniente dai pozzi sacri o da Nuraghi trasformati in luoghi di culto come il Nordule; nei pressi della necropoli sono stati trovati indizi dell'esistenza di un pozzo sacro ed infine considerando come la testa di Narbolia fu rinvenuta presso il pozzo sacro di Narbolia-Banatou [64].

Aspetti ideologici delle statue [modifica]

In generale tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere le statue di Monte Prama espressione di una elite aristocratica e dei valori guerrieri ed eroici [65]. Per Tronchetti al contrario della bronzistica, a causa del maggior numero dei pugilatori la sfera religiosa [66] prevarrebbe sulla sfera politica militare. Questo sarebbe il segnale del declino militare e politico della civiltà nuragica nel periodo nel quale le statue furono realizzate [67]. Inoltre tale statuaria è espressione del periodo orientalizzante che interessava tutto il Mediterraneo. Il gusto e l'ideologia orientalizzanti possono rifarsi ed importare tanto modelli originali come riflettere tradizioni locali. Questo avviene nelle opere di Monte Prama per i quali non si può parlare di arrivo di modelli materiali, bensì di modelli ideologici.La deposizione dei frammenti in una necropoli di aristocratici serviva a rappresentare 1'areté, il valore militare, significato dagli arcieri, e il valore religioso, significato dalle statue di pugilatori, protagonisti di giochi sacri, e dall'assimilazione della guerra alla caccia cifra ideologica propria delle classi aristocratiche [68]. La presenza di numerosi modelli di nuraghi contribuisce a completare questo quadro, ponendosi come simbolo e punto di riferimento del centro di potere del gruppo familiare [69]. Al contrario, per Lilliu le statue non furono erette in un periodo di decadenza politica, ma nel periodo della rivoluzione aristocratica di espansione economica e politica [70] Inoltre lo stile geometrico delle statue esclude l'incontro e la fusione con il modo orientalizzante, riscontrabile solo nella bronzistica del VII sec. a.C. [71]. Per cui è giusto parlare di un filone artistico protosardo orientale, ma non di un filone protosardo orientalizzante [72] Per cui le satue riflettono una condizione etnica e nazionale non subalterna ne dipendente, con tutti i crismi per chiamarsi civile allo stesso modo delle altre civiltà circostanti e in rapporto con essa [73]. La presenza dei modellini di nuraghe in relazione alle statue è da leggersi ad un tempo, come affermazione dell'identità nuragica, e come simbolo sacrale. In quest'ultimo senso, i modellini di Cannevadosu e Mone Prama sembrerebbero posti a tutela dei morti; del resto altri modellini (Serri losa, Tanca e'mesu, Cordiano, Ruinas) potevano avere sia significato rituale che votivo. Ma non va neppure sottovaluto il secondo significato identitario. Gli stessi Giganti ed i modellini a loro associati furono intesi come simbolo della Sardegna e del suo popolo oltre che segno del potere, come dimostrano i modellini presenti nelle grandi sale consiliari dei nuraghi di Barumini, Palmavera, santa Anastasia [74]. Per Lilliu è in particolare il Nuraghe quadrilobato ad assolvere quest'ultima funzione identitaria, simbolo di un'epopea, "bandiera", "marchio" del popolo dei Nuraghi e dei giganti di Monte Prama [75]

Possibili tecniche di lavorazione [modifica]

Recentemente il professor Peter Rockwell ha potuto analizzare personalmente le sculture riscontrando l’uso di vari strumenti in metallo, probabilmente in bronzo. In particolare si è potuto osservare l'uso di: subbia, scalpello con lama di varie misure, uno strumento simile ad un raschietto utilizzato per levigare la superficie al pari o insieme ad abrasivi, una punta secca per incidere linee fini di dettaglio, uno strumento per produrre fori che può essere assimilato al trapano, il cui uso da parte degli antichi sardi è infatti provato dai rinvenimenti archeologici. Inoltre è evidente l’uso di uno strumento simile al compasso con il quale sono state realizzate le linee circolari come quelle degli occhi. Un compasso in ferro fu trovato nel Nuraghe Funtana presso Ittireddu [76].Le tracce più interessanti sono quelle lasciate da una gradina anche se quest’ultima compare ufficialmente in Grecia solo nel VI secolo a.C. Simile alla subbia ma dal bordo dentellato e affilato, la gradina(adatta in modo particolare alla scultura su marmo), veniva colpita sulla superficie tenendola obliqua, per creare una sorta di prima levigatura a scanalature più o meno fitte.

Galleria Fotografica [modifica]