I NURAGHI A THOLOS

giovedì

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nuraghi a “tholos”I nuraghi a “tholos”



I nuraghi a “tholos”

Nella media Età del Bronzo, intorno al XVI-XV secolo a.C
(nella fase detta “Nuragico IB”), fa la sua comparsa il nuraghe a
tholos, o, se vogliamo, il “nuraghe” tout court. Come accennato in
precedenza, i nuraghi di cui si abbia notizia, secondo recenti stime,
sono circa 6.500, anche se la maggior parte versa in un grave stato
di rovina, e moltissimi sono ormai scomparsi del tutto, soprattutto
negli ultimi 150 anni; deleteri furono, a questo riguardo, due fatti:
la legge delle “chiudende”, alla metà del XIX secolo, che causò
lo smantellamento di molti nuraghi per erigere le recinzioni dei terreni,
e lo sviluppo della rete stradale (a cominciare dall’asse principale
della “Carlo Felice”) che vide la demolizione di molte torri nuragiche
allo scopo di ottenere pietre per le massicciate.
Cos’è un nuraghe? Nella sua forma più semplice, è una torre
troncoconica costruita con massi di dimensioni variabili, collocati
senza l’uso di leganti cementizi o, come si suol dire, “a secco”. Le

murature sono realizzate a filari di pietre disposte più o meno ordinatamente,
in molti casi lasciate allo stato naturale, ma più spesso 
semi-lavorate per facilitarne la posa in opera: nella parte superiore
delle torri – quella più soggetta al degrado – i conci sono generalmente
lavorati con cura (nelle caratteristiche sagome a “coda”
e a “T”), per garantire un perfetto incastro fra gli elementi e quindi
una maggiore stabilità.
La presenza di mensole litiche, rinvenute in alcuni casi ancora
in posizione sulle murature ma più sovente riverse al suolo nel
punto di caduta, e soprattutto le numerose raffigurazioni in pietra e
in bronzo delle torri nuragiche di cui si dispone, ci portano a ipotizzare
che i nuraghi (ma anche i protonuraghi) terminassero superiormente
con un ballatoio sporgente sul bordo della terrazza, in
modo da recuperare la verticale sulla base della torre.
All’interno della semplice torre nuragica sono ospitate una o



più camere sovrapposte e coperte a falsa volta, o a “tholos”, con la
tecnica cosiddetta ad “aggetto”, cioè facendo sporgere il giro di
pietre superiore su quello sottostante e restringendone progressivamente
il diametro, sino ad ottenere alla sommità un circolo minimo
che veniva chiuso da un’unica lastra di pietra. Le pietre così disposte
rimanevano in posizione stabile grazie al peso e alla spinta dell’opera
muraria che gravava sulla parte non aggettante del masso.
In genere, venivano realizzati due paramenti murari – esterno ed
interno – in grosse pietre, mentre gli interstizi venivano colmati con
pietrame di minori dimensioni.


 




Il termine “tholos” indica una costruzione circolare con copertura
ad aggetto, e fa riferimento alle analoghe costruzioni dell’area
Egea, soprattutto alle grandi tombe Micenee (si pensi, ad esempio,
al famoso “Tesoro di Atreo”), delle quali, tuttavia, il nuraghe condivide
solo in parte la tecnica costruttiva, trattandosi, nel caso delle
“tholoi” micenee, di strutture realizzate entro un tumulo di terra o comunque
all’interno di una collina artificiale, mentre i nuraghi sono




edifici costruiti interamente in murature a cielo aperto (o “subaerei”).
Alla torre si accede da un ingresso quasi sempre a fior di suolo,
ma in alcuni casi anche sopraelevato, seppur di poco; non è mai
stata trovata traccia della porta, che si suppone fosse di legno, sebbene
taluni ipotizzino che potesse essere in pietra. L’ingresso immette
sempre in un andito più o meno lungo che conduce alla camera
del piano-terra: da una delle pareti (in prevalenza quella sinistra)
parte in genere la scala che sale al terrazzo o ai piani superiori,
compiendo un percorso “a spirale” entro lo spessore della
massa muraria (nuraghe Santu Antine, Torralba-SS). In moltissimi
nuraghi (ritenuti con ogni probabilità più arcaici), tuttavia, la scala,
anzichè dall’andito, ha origine dall’interno della camera (nuraghe
Su Nuraxi, Barumini-CA), ed in questo caso non parte quasi mai da
terra ma da una certa altezza dal suolo – in alcuni casi anche notevole
(6 metri nel nuraghe Is Paras, Isili-NU) – e dobbiamo quindi
supporre che l’accesso avvenisse tramite una ulteriore scala di legno.
Non mancano nuraghi, anche di notevole imponenza, dove la
scala interna parrebbe del tutto assente (nuraghe Arrubiu, Orroli-
NU, nuraghe Piscu, Suelli-CA) e per i quali si deve ipotizzare un accesso
alle parti superiori della torre dall’esterno, con scale di legno
o, in rari casi, con travi incassate in interstizi e sporgenti dal paramento
esterno a brevi intervalli.

Oltre alle camere vere e proprie, all’interno di una torre nuragica
potevano essere realizzati numerosi altri spazi. Lungo la circonferenza
delle celle principali, sovente venivano ricavati degli
ambienti secondari, chiamati nicchie, che potevano anche prolungarsi
lateralmente fino ad articolarsi in veri e propri anditi anulari
intorno alla camera stessa: al nuraghe Santu Antine di Torralba,
quest’andito comunica con la camera attraverso tre diversi accessi.
Nel corridoio d’ingresso, generalmente affrontata al vano della scala,
è spesso ricavata un’ulteriore nicchia, che per la sua posizione
a controllo dell’ingresso stesso è stata definita, impropriamente,
“garetta di guardia”: in alcuni nuraghi con scala di camera, in luogo
del vano della scala d’andito si può avere una seconda nicchia
di fronte alla c.d. “garetta”.
Altre cellette potevano essere ricavate nello spessore dell’opera
muraria, sovente al di sopra dell’andito di ingresso e in comunicazione
con quello tramite piombatoi o canali acustici sempre
risparmiati fra le murature. Le cellette potevano essere raggiunte da
anguste scale che avevano origine dalla camera del piano terra (da
una nicchia, oppure direttamente da un accesso sopraelevato nella



parete della camera stessa) oppure dalla camera del piano superiore,
con andamento discendente; in alcuni casi (esempio: Santu
Antine di Torralba) la celletta si raggiungeva direttamente – con una
scala di legno – da una finestrella affacciata sulla camera interna.
Nel pavimento della camera di alcuni nuraghi venivano anche
scavati dei pozzi o dei silos per conservare liquidi o derrate,
mentre altri ripostigli più piccoli venivano realizzati entro le murature,
in genere nel pavimento del terrazzo o di un piano superiore,
ma anche lungo il percorso della scala. Oltre a queste, numerose
altre potevano essere le soluzioni architettoniche adottate dalle genti
nuragiche nella realizzazione delle loro torri, per soddisfare l’esigenza
di recuperare quanto più spazio possibile: soluzioni per le
quali l’unico limite era dato dalla possibilità tecnica di accrescere i
vuoti all’interno della massa muraria senza pregiudicare la tenuta
strutturale dell’edificio.

Quando un nuraghe presentava più piani (sino ad un massimo
di tre, compreso il piano terreno), le camere superiori erano generalmente
di dimensioni più ridotte man mano che si sale, poiché
minore è anche il diametro della torre nelle parti elevate; la scala,
sia che parta dall’andito che dalla camera inferiore, sfocia in un
pianerottolo generalmente in corrispondenza del sottostante andito
di ingresso (ma questa regola è spesso disattesa, come nel nuraghe
Nuraddeo di Suni-NU), che prende luce da un finestrone e su cui si
apre la porta della camera superiore. Anche in queste camere si
potevano avere nicchie ed altri piccoli ambienti sussidiari: nel nuraghe
Santu Antine, eccezionalmente, nella camera del primo piano
venne realizzato un sedile alla base dalle pareti, forse con funzione
analoga a quello che nei villaggi si osserva nelle cosiddette
“capanne delle riunioni” (come si dirà più oltre): il particolare lo si
ritrova, generalmente, al piano terra di numerosi nuraghi, mentre al
Santu Antine la presenza degli ingressi del corridoio anulare nella
grande camera inferiore ne rendeva praticamente impossibile la
realizzazione, da cui la scelta di spostarlo al piano superiore.
Oltre che dalla porta e dalle finestre in corrispondenza degli
ingressi delle camere dei piani superiori, il nuraghe poteva ricevere
luce anche da altre piccole aperture, definite per convenzione
“feritoie”: piccoli spiragli quadrangolari ricavati distanziando due
pietre di uno stesso filare, che comunicano in genere con il vano
della scala, oppure con un ambiente sussidiario (una celletta o un
silos) e solo eccezionalmente con una nicchia della camera.
Questo fin qui descritto è una tipico nuraghe a “tholos” di
planimetria semplice, o “monotorre”, come forse dovettero essere
quelli realizzati nel primo periodo. In un secondo momento, da situarsi
presumibilmente nella fase del Nuragico II-III (Bronzo Recente
e Finale, fra il XIV e il IX secolo a.C.), al singolo nuraghe già esistente
furono addossate altre torri nuragiche raccordate da cortine
murarie a formare un vero e proprio bastione turrito, fino a realizzare
delle strutture di notevole articolazione e imponenza.In molti
casi, tuttavia, si può supporre che la costruzione del complesso possa
essere stata progettata in un unico momento, senza soluzione di
continuità fra la realizzazione della torre principale (definita “mastio”,
con termine preso convenzionalmente in prestito dall’architettura
castellana del Medioevo) e quella delle altre strutture aggiunte.

Il grado di complessità delle costruzioni nuragiche era piuttosto
vario, probabilmente in relazione alla funzione e all’importanza
rivestita da ogni costruzione nell’ambito del proprio sistema territoriale;
si va dalla semplice aggiunta di una piccola torre laterale,
sino alla vera e propria fortezza con bastione provvisto di torri angolari,
in numero di tre (Santu Antine, Torralba-SS, Losa, Abbasanta-
OR), quattro (Su Nuraxi, Barumini-CA; Santa Barbara, Macomer-
NU) o addirittura cinque (Arrubiu, Orroli-NU), spesso provvisto
di cortile interno ove era anche un pozzo per l’acqua.

Le torri dei bastioni erano collegate al cortile (o direttamente
all’andito di ingresso) e fra di loro per mezzo di lunghi corridoi; in
alcuni casi potevano avere aperture indipendenti in comunicazione
con l’esterno, generalmente assai anguste, forse utilizzate come vie
di fuga (come le “postierle” delle cittadelle di Micene e Tirinto). Sia
le torri che, in alcuni casi, i corridoi di raccordo, erano spesso provvisti
di spiragli di luce alti e strombati verso l’interno, nei quali qualcuno
ha inteso riconoscere delle vere e proprie feritoie per gli arcieri,
anche se il dato appare abbastanza improbabile.
Anche nello spessore murario dei bastioni potevano essere ricavati
diversi piccoli ambienti sussidiari, come nicchie sopraelevate
aperte direttamente sul cortile, silos e ripostigli accessibili dagli
spalti o dalle terrazze delle torri, cellette sul percorso delle scale,
etc. Nel nuraghe Su Nuraxi di Barumini, le torri secondarie del bastione
avevano un piano superiore realizzato nella stessa tholos di
base, mediante un soppalco ligneo: un espediente utilizzato anche

nella torre principale di un ristretto numero di nuraghi, in cui il soppalco
veniva poggiato su riseghe realizzate alle pareti della camera
(nuraghe Oes, Giave-SS) oppure su travi incassate alle pareti in
interstizi appositamente risparmiati fra le murature.
Altre cinte murarie più esterne, talora provviste anch’esse di
torri – i cosiddetti “antemurali” – potevano circondare i bastioni e
costituire una linea avanzata di difesa. Quando gli antemurali erano
realizzati a breve distanza dal profilo delle mura della fortezza,
gli spazi racchiusi potevano anche essere ripartiti in diversi cortili:
raramente gli antemurali circoscrivevano aree di grande estensione
attorno al nuraghe (Losa, Abbasanta-OR). Oltre che per difendere



complessi bastioni, antemurali, con o senza torri, furono realizzati
anche a protezione di semplici nuraghi monotorri.
Quale la funzione di tali costruzioni? Dopo una lunga serie di
ipotesi, fiorite soprattutto nel XIX secolo e agli inizi del XX (quando
la ricerca archeologica – si badi bene – era appena agli inizi, e della
civiltà nuragica si sapeva poco o niente), gli archeologi sono ora

mai concordi nel ritenere che i nuraghi fossero degli edifici a carattere
civile-militare, destinati in particolare al controllo e alla difesa
del territorio e delle risorse in esso presenti, e sicuramente con
funzioni differenziate, come si arguisce dalla diversa complessità
planimetrica ed anche dall’ubicazione nel proprio contesto territoriale.
Dalla torre arroccata su una cima isolata, semplice vedetta situata
al confine del territorio di pertinenza della singola tribù (il cosiddetto
“cantone”: parleremo più oltre dell’organizzazione sociopolitica
dei nuragici) o a presidio dei punti strategici più rilevanti (le
vie d’accesso alle vallate, i sentieri che salivano agli altipiani, i corsi
d’acqua, i guadi, le fonti, etc.) si giunge alle complesse costruzioni
comprendenti fino a 17 torri (nuraghe Arrubiu, Orroli-NU) e

dalle mura spesse alcuni metri, ubicate al centro dell’area di comune
interesse e sicuramente residenza fortificata dell’autorità politica,
civile e militare (probabilmente anche religiosa) della regione.
Altre teorie (soprattutto quella che vede nei nuraghi degli edifici
di culto), ancora oggi vengono sostenute da taluni – totalmente
estranei al mondo della ricerca archeologica – con impostazione
metodologica il più delle volte approssimativa se non addirittura decisamente
ascientifica, incoraggiati anche da un’editoria spesso poco
attenta ai contenuti delle opere in stampa.
Sull’origine dei nuraghi, vi è da dire che essi non hanno precisi
riscontri in nessun’altra area del Mediterraneo, ma solo dei parenti
più o meno lontani, come le tholoi micenee, o come le Torri della
Corsica, i Talajots delle Baleari, i Sesi di Pantelleria, i Brochs della
Scozia, etc. Costruzioni generalmente più semplici e per giunta
anche più recenti dei nuraghi – forse con la sola eccezione delle torri
corse –, ed è quindi assai improbabile che possano averne influenzato
la nascita, mentre in alcuni casi (Baleari) può invece essere
avvenuto il contrario. Tutte queste architetture traggono origine
da una comune matrice culturale diffusa nel bacino del Mediterraneo,
ma in Sardegna si ebbe uno sviluppo originale e grandioso
quale non è dato riscontrare nelle altre aree.

I Protonuraghi

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 I protonuraghi  
I protonuraghi

I protonuraghi sono edifici che differiscono in maniera significativa
dai nuraghi classici: di aspetto più tozzo e di planimetria generalmente
irregolare, al loro interno non ospitano la grande camera cir-

colare tipica del nuraghe, ma uno o più corridoi e qualche rara celletta
coperta a falsa-volta. La loro altezza non sembra superare i 10
metri (contro gli oltre 20 di alcuni nuraghi a tholos), mentre è quasi
sempre ben maggiore la superficie occupata da questi edifici rispetto
ai nuraghi classici (con una media di mq 245 registrata nel
Marghine-Planargia, mentre la torre di un nuraghe a tholos difficilmente
supera i 100 mq).

In queste costruzioni, caratterizzate da una notevole massa
muraria sfruttata solo in minima parte da pochi e angusti spazi,
la parte più funzionale doveva essere la piattaforma della terrazza
superiore, ove potevano venire ricavati degli ambienti di abitazione,
anche con copertura lignea.
Spesso, un lungo corridoio coperto con lastre orizzontali (a
“piattabanda”) attraversava tutto l’edificio, per sfociare sul lato opposto
della costruzione, che in tal modo presentava un doppio ingresso
(protonuraghi a “corridoio passante”). Il tipo più diffuso era,
tuttavia, quello caratterizzato da un corridoio cieco, che poteva essere
affiancato da piccole nicchie o essere intersecato da uno o più
corridoi trasversali, e sul quale si affacciava anche l’accesso al vano
della scala che conduceva nella parte superiore della costruzione.
In alcuni casi, lungo i corridoi potevano aprirsi piccoli vani co-



perti a tholos, e in qualche protonuraghe (Friarosu, Mogorella-OR)
la massa muraria non ospitava corridoi ma soltanto piccole cellette
con ingressi indipendenti.
Una evoluzione di questi ultimi protonuraghi, è costituita
da un tipo di edificio in cui il corridoio, dopo un tratto iniziale
stretto e basso coperto a piattabanda, si amplia in larghezza e
in altezza, presentando una copertura ad aggetto dalla tipica
sagoma a “schiena d’asino”, o meglio a forma di chiglia rovesciata
(protonuraghe a “camera naviforme”). È questo il preludio
della realizzazione della camera coperta a “tholos” (o “falsa-
cupola”), che caratterizzerà il nuraghe vero e proprio.
I protonuraghi accertati, attualmente, sono circa 300: un numero
decisamente esiguo se rapportato al numero complessivo di
oltre 6500 monumenti (fra protonuraghi e nuraghi), anche se altri
potrebbero essere compresi fra i moltissimi edifici segnalati genericamente
come “nuraghi”, ed ancora non indagati.
I protonuraghi, probabilmente, continueranno ad essere utilizzati
anche quando si sarà già diffusa l’architettura più evoluta dei
nuraghi a tholos, assolvendo forse a compiti di tipo particolare.

Archeologia in Sardegna: La Civiltà Nuragica

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Le origini

La Civiltà Nuragica nasce nella prima età del Bronzo, intorno al
XVIII secolo avanti Cristo; il nome deriva dal suo monumento più caratteristico:
il “nuraghe”. Non sappiamo come i nuragici chiamassero
se stessi, perché non ci è rimasta alcuna testimonianza scritta
di quel periodo, ed è lecito ritenere che essi non conobbero mai una
loro scrittura. Le testimonianze di altri popoli, che parlino delle antiche
genti della Sardegna, sono tutte di epoca molto tarda (soprattutto
di età romana) e non ci sono di grande utilità: si tratta di notizie
composte, forse sulla base di lontane leggende tramandate per
generazioni, quando ormai la Civiltà Nuragica, nei suoi tratti caratteristici,
non esisteva più da diversi secoli.



Sull’origine del popolo dei nuraghi, gli studiosi sembrano abbastanza
concordi nel ritenere che queste genti non provenissero
dall’esterno ma fossero gli stessi sardi che già avevano dato vita,
nelle epoche precedenti (Neolitico ed Età del Rame), alle grandi culture
della Sardegna prenuragica, e che ora, a seguito delle trasformazioni
sociali ed economiche seguite alla scoperta e all’uso del
metallo (bronzo, soprattutto), si erano evolute verso forme più complesse
di organizzazione sociale, determinando anche la fioritura
di una architettura originale: è il periodo che, nell’Europa occidentale
e mediterranea, viene indicato con il termine di “Protostoria”.
Già in precedenza nell’Età del Rame, all’epoca della cultura
di “Monte Claro” (intorno alla metà del III millennio a.C.), si
avverte, soprattutto nella Sardegna settentrionale, l’esigenza di
proteggere gli abitati, ubicandoli su alture scoscese, difese, nei
lati più esposti, da poderose muraglie megalitiche; talvolta, oltre
alle grandi muraglie, venivano realizzati dei recinti-torri di piccole
dimensioni, semicircolari (Monte Baranta, Olmedo-SS) o
quadrangolari (Fraigata, Bortigiadas-SS), provvisti di ingressi,
che racchiudevano degli spazi ridotti sul bordo del pianoro: quasi
una sorta di ultimo baluardo di difesa. Sarà forse proprio da
questo tipo di edifici che nascerà, nei secoli successivi, l’idea del
“nuraghe”.
La Civiltà Nuragica vera e propria comincia a svilupparsi negli
ultimi tempi della cosiddetta “Fase di Bonnanaro”: l’aspetto cul-
turale della più antica Età del Bronzo (nella prima metà del II millennio



a.C.), caratterizzato soprattutto dallo sviluppo del megalitismo
funerario. Sarà in questo periodo che, dagli antichi dolmen
della fine del Neolitico, si perverrà, attraverso il dolmen “a galleria”
(o allée couverte), alla tipica sepoltura megalitica nuragica: la
“tomba di giganti”.


La prima fase, denominata Nuragico I (1700-1500 a.C.), vede
il formarsi dei caratteri principali di questa civiltà; fra la fine del
Bronzo Antico e gli inizi del Bronzo Medio (XVIII-XV sec. a.C.) si ha
l’edificazione dei primi “protonuraghi”, conosciuti anche come “nuraghi
a corridoi”.